Lampedusa, arrestato somalo che organizzava il traffico dei migranti. Accusato di violenze e stupri
Ha organizzato la traversata del barcone naufragato davanti alle coste di Lampedusa lo scorso 3 ottobre, poi si è confuso tra i superstiti ospitati nel centro d’accoglienza dell’Isola, ma è stato riconosciuto e arrestato. Si tratta di un Mouhamud Muhidin, un 25enne somalo nato a Beledweyn e appartenente ai miliziani armati.
L’uomo è stato fermato questa mattina dagli agenti di Palermo ed Agrigento e dal Servizio centrale operativo di Roma in seguito a un provvedimento restrittivo emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia per gravissimi reati, dal sequestro di persona a scopo di estorsione all’associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina, dalla tratta di persone alla violenza sessuale. Il somalo è arrivato a Lampedusa lo scorso 25 ottobre a bordo di un barcone con circa 90 profughi subsahariani. Quando i superstiti, oltre 100, del naufragio del 3 ottobre lo hanno visto arrivare al centro di accoglienza non riuscivano a credere ai loro occhi: si sono ritrovati l’uomo che aveva organizzato la traversata. Così hanno provato ad aggredirlo ma sono stati fermati dai responsabili del centro di accoglienza. Sono stati loro a raccontare agli inquirenti che quel somalo era l’organizzatore della tragica traversata dalla Libia verso l’Italia del barcone con a bordo oltre 500 profughi prevalentemente eritrei culminata, lo scorso 3 ottobre, nel naufragio dell’imbarcazione e nella morte per annegamento di 366 migranti.
Quindi, gli investigatori hanno mostrato ai superstiti le foto segnaletiche per il riconoscimento che è avvenuto quasi subito e per l’uomo sono così scattate le manette. Si tratta di una delle prime occasioni in cui gli investigatori sono riusciti a risalire alla identità di uno dei capi dell’organizzazione criminale transnazionale che gestisce, tra il corno d’Africa, il Sahara e la Libia, gli imponenti flussi migratori illegali dal nord-Africa verso la Sicilia occidentale.
Sulla base di testimonianze dei superstiti, gli inquirenti hanno inoltre ricostruito gli orrori del viaggio, le violenze dei trafficanti e gli abusi subiti dalle donne ancor prima di salire su quella barca della speranza. Secondo l’agghiacciante racconto di uno dei sopravissuti il somalo era un vero e proprio ‘carceriere’ degli eritrei in attesa di partire dalla Libia. Il gruppo di 130 profughi, prima della traversata, è infatti intercettato nel deserto da un gruppo armato a capo del quale vi era proprio Muhidin e tenuto segregato per oltre un mese, sotto la minaccia delle armi, in un casolare in Libia. “Siamo stati maltrattati e torturati per giorni dopo essere stati sequestrati al confine tra il Sudan e la Libia da un gruppo di somali a bordo di pick up sotto le minacce delle mitragliatrici. Arrivati in una specie di campo, alcuni di noi sono stati picchiati con manganelli e sono stati sottoposti a scariche elettriche”.
Circa venti ragazze sono state stuprate: diciannove di loro sono morte nel naufragio e solo una è sopravvissuta. “Le donne – è stato riferito – venivano stuprate dai somali, tra cui l’arrestato che era il carceriere del campo libico, e poi ‘offerte in dono’ ai miliziani libici”. La 18enne sopravvissuta racconta che ”una sera dopo essere stata allontanata dal mio gruppo sono stata costretta con la forza, dal somalo e da due suoi uomini, ad andare fuori. Gli stessi dopo avermi immobilizzata a terra, mi hanno buttato in testa della benzina provocandomi un forte bruciore al cuoio capelluto, al viso e agli occhi. Successivamente, non contenti, i tre, a turno, hanno abusato di me”. ”Dopo circa un quarto d’ora e dopo essere stata picchiata -racconta la ragazza tra le lacrime- sono stata riportata all’interno della stanza e lì ho raccontato ai miei compagni di viaggio ciò che mi era accaduto. Preciso che tutte e 20 le ragazze che sono state sequestrate sono state oggetto di violenza sessuale e che nel compiere l’atto i miei stupratori non hanno fatto uso di protezione, non curanti neanche della mia giovane età e del fatto che fossi vergine”.
La stessa giovane eritrea, parlando ancora con gli investigatori che la ascoltavano increduli, ha raccontato che dopo il sequestro “ci hanno privato dei nostri effetti personali e hanno utilizzato il nostro cellulare per chiamare i nostri familiari e chiedere un riscatto che andavano dai 3.300 ai 3.500 dollari per ognuno di noi”. Solo quando i soldi da loro richiesti venivano accreditati sui conti bancari gli eritrei sono stati messi in libertà e accompagnati fino a Tripoli. Da lì il viaggio terminato nel naufragio del 3 ottobre. Nel corso delle indagini è stato fermato anche un palestinese per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver partecipato ad un altro sbarco, questa volta di cittadini siriani, avvenuto sempre a Lampedusa.
Secondo quanto scrivono i magistrati nel fermo di polizia giudiziaria “è emersa la piena operatività di un organismo plurisoggettivo unico e fortemente strutturato, di carattere transazionale e composto prevalentemente da cittadini somali e libici, operante sulla tradizionale rotta dei migranti dai paesi più poveri del continente africano (Eritrea, Sudan, Ciad) al fine di sequestrarli, ricavare il massimo profitto possibile – sia in termini strettamente economici che di altro tipo – da condotte di sopraffazione idonee ad integrare una vera e propria moderna tratta degli schiavi con un enorme fonte di arricchimento a costi praticamente irrisori – scrivono – In tutti tali casi la narrazione fatta dai migranti trasportati e il modus operandi constatato direttamente delinea in modo convergente e uniforme le varie fasi del viaggio e poi della traversata (fino all’arrivo a Lampedusa)”.
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