Se la corruzione è nella mente
Sembra un atteggiamento abbastanza diffuso nei paesi post-comunisti, tollerare che i propri leader politici possano disporre della Cosa Pubblica come se fosse una loro proprietà privata, godendo di ogni privilegio senza che i cittadini gliene chiedano conto. Questa inclinazione alla rassegnazione e alla rinuncia spesso rende tortuoso il lavoro delle organizzazioni internazionali che mirano al rafforzamento della capacità delle istituzioni nei paesi dell’ex-Yugoslavia, soprattutto del sistema giudiziario. Razionalizzando la realtà non è raro sentir dire che in fin dei conti i governanti hanno un qualche diritto a rubare o farsi corrompere purché continuino a lavorare per il bene comune di tutti, e in fondo, perché in molti pensano che al loro posto tutti agirebbero alla stessa maniera. Frequentemente, durante il comunismo la relazione tra classe politica e cittadini era connotata da una restrizione delle liberté individuali piú o meno marcata, una fiducia accordata piú esteriormente che intrinsecamente, la denuncia di comportamenti poco trasparenti o di aperte violazioni poteva essere facilmente interpretata come delazione e vissuta nel timore di della ritorsione e con risvolti persecutori per i dissidenti. E se l’ipotesi che la corruzione sia piú diffusa in paesi che non hanno un retaggio democratico, il problema sarebbe ristretto ai paesi post-comunisti. Un altro argomento che potrebbe risultare persuasivo per spiegare la corruzione, riguarda la povertá e il sottosviluppo economico: sarebbe piú facile corrompere un ufficiale pubblico, un giudice o un politico se il loro salario è basso e non permette loro di sostenere un livello di vita sufficientemente confortevole.
Al contrario, la corruzione è un fenomeno pervasivo in ogni ambito, politico, economico, sociale e culturale in molti paesi. Transparency International http://www.transparency.org/ , un’organizzazione non governativa che opera a livello globale, ogni anno si occupa di analizzare il Corruption Perceptions Index http://cpi.transparency.org/cpi2011/results/, uno strumento che quantifica su una scala da 0 (massimo) a 10 (minimo) il livello di corruzione percepita nella pubblica amministrazione in 183 paesi. Nel 2011, l’Italia riportava un punteggio di corruzione pari a 3.9 mentre il Kosovo si affermava a 2.9. I due paesi dell’ex-Yugoslavia che sono candidati o membri dell’Unione Europea superano il Belpaese: la Croazia mostrava un punteggio di 4 e la Slovenia di 5.9. Gli altri non sembravano essere percepiti troppo dissimilmente in materia di corruzione: la Bosnia Herzegovina aveva un punteggio di 3.2, la Serbia di 3.3, il Montenegro di 4, l’Albania di 3.1, l’ex Repubblica di Macedonia di 3.9.
Considerando che l’Italia figura ormai da decadi tra le piu grandi economie del mondo civilizzato, mentre il Kosovo è una piccola nazione senza un’economia autosufficiente che si lascia alle spalle un conflitto armato piuttosto recente, verrebbe da scartare la seconda ipotesi, piú povertá equivale a piú corruzione.
Sicuramente le convergenze tra Italia e Kosovo sono molto poche e difficili da individuare (possiamo considerare l’Italia un paese post-comunista?), forse nascoste tra le ombre di un atteggiamento mentale comune, che tollera l’essere corrotto e il togliere alla collettività per donare a se stessi perché pensa che anche gli altri agirebbero nello stesso modo. Impunemente, senza conseguenze. Solo che in Kosovo il sistema giudiziario lo stanno ancora costruendo.
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