Orchestra Accademia S.Cecilia, suggestive pagine mozartiane per la direzione di Kent Nagano. Applausi per Napolitano
(Di Sergio Prodigo). All’Auditorium del Parco della Musica, sabato 30 novembre, prima che i professori dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia facessero il loro ingresso sul palco, un prolungato applauso, spontaneamente tributato dal folto pubblico, ha accolto l’arrivo del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha partecipato in forma privata all’evento musicale. Sul podio l’americano Kent Nagano, uno dei più rinomati interpreti del repertorio lirico-sinfonico, sovente ospite dell’Accademia ceciliana (sin dal 1986) e attualmente direttore dell’Orchestre Symphonique de Montréal: nella prima parte ha diretto il Concerto n. 24 in do minore per pianoforte e orchestra K. 491di Mozart, interpretato dal pianista polacco Rafal Błechacz, vincitore nel 2005 del prestigioso concorso internazionale Frédéric Chopin.
La pagina mozartiana offre numerosi spunti alla riflessione, pur se tant’altri ne serberebbe per un’analisi strutturale in un diverso ambito di ricerca: in tal sede, più protesa all’enunciazione di elementi di natura emotiva e rappresentativa, va evidenziato il senso del tragico che sembra imporsi ed emanarsi sin dalle battute iniziali del primo movimento (Allegro), misto a una drammaticità maestosa, quasi presaga di quel beethovenismo correlato al medesimo e prammatico do minore (ravvisabile anche in altre opere tonalmente similari, come la Sonata K. 457, composta nel 1784, ossia due anni prima del Concerto). L’espressione tematica primaria, tuttavia, si avvale nello specifico della prima esposizione di elementi accordali e intrinsecamente cromatici, privilegiando al suo interno la caratterizzante intervallazione di settima diminuita (e l’equivalente sesta maggiore), che ne suggella il pathos espressivo, non disgiunto dal conseguente uso delle tre possibili sovrapposizioni delle correlative tetradi. L’estrema concentrazione e la contestualità di molteplici elementi strutturali nel connettivo di tale tematismo, espresso prevalentemente dall’orchestra, sembrano quasi limitare il sovvenire di una seconda e contrastante idea motivica, che si rivela quasi frazionata nelle scalarità discendenti e imitative dei fiati e nelle similari figurazioni dell’esordio del pianoforte; dipoi gli elementi si fondono e sia il breve svolgimento sia la corposa ripresa offrono una simbiotica integrazione dei due apparati timbrici contrapposti. In simile contesto formale la cadenza, composta dal più fedele degli epigoni di Mozart, Johann Nepomuk Hummel (peraltro resa con somma maestria da Rafal Błechacz), sembra quasi un “corpo estraneo”, seppur impreziosita da una gran copia di virtuosismi ornamentali e non disgiunta dal connettivo tematico.
Il Larghetto centrale, concepito in una forma che tende ad assemblare le tipologie della romanza e del rondò, sembrerebbe avulso – almeno nella subitanea enunciazione motivica – da contenuti cupi o gravosi, che s’avvertono, invece, negli squarci episodici, poiché connessi al medesimo e condizionante impianto tonale. Certamente più complesso si rivela il terzo movimento, un Allegretto estremamente complesso, fuori dagli schemi convenzionali ed elaborato nella inusitata forma (almeno per un finale) del tema con variazioni: nelle otto segmentazioni variate la simmetrica struttura motivica si reitera senza cesure, avvalendosi di complessi e cangianti artifici compositivi, che si compenetrano e si compendiano nella parte terminale anche in virtù della mutazione ritmica.
L’interpretazione del capolavoro mozartiano, offerta dal direttore e dal solista, ne ha mostrato e illustrato una lettura attenta e misurata, forse priva di slanci emotivi o di forti caratterizzazioni espressive, ma aderente a quegli intendimenti esecutivi radicati nella tradizione del repertorio classico e apprezzati nella giusta misura dal pubblico. Eccellente, come sempre, la prova palesata dall’orchestra, particolarmente impegnata nella seconda parte del concerto con l’esecuzione della “inestinguibile” Sinfonia n. 3 di Anton Bruckner.
Il perché di tale bizzarra denominazione, che non interpreta l’omaggio a Wagner, tributato (con “profondissima venerazione”) nella dedica da parte del compositore austriaco, risiede nella verbosa tipicità dell’elaborazione strutturale, fondata su complesse esposizioni tematiche a blocchi e conseguenti “abnormi” sviluppi fusi con appendici caudali. Ugualmente vi si avverte quel faticoso lavoro creativo, caratteristico delle sue prime cinque sinfonie (due versioni per la prima, tre della seconda, tre della quarta e due della quinta) e forse rivelatrici di una sofferta natura compositiva quasi ai limiti di una interiore e autocritica ricerca espressiva. Nella terza il cammino risulta ancora più arduo, dal prototipo del 1773 alla revisione del 1877, fino alla definitiva stesura del 1889: già nel primo movimento si concreta la scelta di dotare il distintivo “re minore” del primo tema di tutte quelle attribuzioni di contorno e di sostegno tali da incidere sull’ideazione degli altri tematismi della Sinfonia, senza peraltro volerne costituire o rappresentarne una ciclicità di reminiscenza lisztiana. Le lunghe successioni delle tre idee amplificano il processo espositivo e conseguentemente dilatano le fasi dello sviluppo. Rare le tracce wagneriane, che forse appesantivano con i frequenti richiami al Tristano e alla Walkiria la prima versione dell’opera, e nemmeno s’avvertono nell’orchestrazione, troppo lontana dalle raffinate distribuzioni timbriche e dagli orditi strumentali della Tetralogia e più netta e misurata nelle ripartizioni fraseologiche, nelle destinazioni delle attribuzioni incidentali e nel sostegno delle componenti armoniche.
Anche nel secondo movimento, l’Adagio, il tritematismo s’impone come scelta formale, ma s’accentuano gli slanci eroici, già ravvisabili nel primo, pur se le pur vigorose e vibranti sonorità non s’adornano di quegli squilli o di quei corali afflati di ottoni; tendono a dissolversi, infine, dopo l’inversa ripresa delle idee, quasi a preparare sommessamente l’incalzante vortice del susseguente Scherzo. L’estrema concisione, le figurazioni reiterate e i sostrati ritmici denotano il carattere “viennese” della parte iniziale del movimento, accentuato vieppiù dal più lento e “danzante” Trio: il tutto sembra quasi fungere da necessario respiro, dopo gli affanni precedentemente intesi, e da viatico per il Finale grandioso e incombente. Pur se introdotto dai consueti mormorii degli archi, inizialmente sorretti da quinte vuote di legni e corni, il rapido “crescendo” conduce all’espressione del primo tema eroico e reboante: di seguito, le altre due diversificate e contrastanti espressioni motiviche, un meno prolisso sviluppo, le conseguenti riprese e una magniloquente riproposizione terminale “in maggiore” del tematismo iniziale della Sinfonia.
Maiuscola se non “muscolare” la prova offerta dall’orchestra nell’esecuzione delle difficili e “pre-mahleriane” pagine sinfoniche, sempre coesa nelle sue sezioni e in grado di assicurare prestazioni degne della sua potenzialità espressiva; convincente anche la direzione di Kent Nagano, che si è espressa nei termini di una corretta lettura del variegato linguaggio e delle complesse architetture sonore di Bruckner, riscuotendo un generale apprezzamento del pubblico ceciliano.
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