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Accademia S.Cecilia, il ritorno di Chung per la “Resurrezione” di Mahler. Un’ora e mezza di emozioni, il poderoso coro diretto da Ciro Visco

Accademia S.Cecilia, il ritorno di Chung per la “Resurrezione” di Mahler. Un’ora e mezza di emozioni, il poderoso coro diretto da Ciro Visco

(di Sergio Prodigo). L’esecuzione di una sinfonia mahleriana costituisce di per sé un evento, poiché vi concorrono diversi e significanti elementi: la conseguente dilatazione dell’organico strumentale, l’esecuzione unitaria senza pause intervallari, la compresenza di solisti e cori e l’interpretazione di un grande direttore. L’accadimento artistico s’è superbamente concretato all’Auditorium del Parco della Musica lo scorso sabato, in una piovosa serata d’inizio febbraio con l’Orchestra e il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretti da Myung-Whun Chung, e con la partecipazione del soprano Ailish Tynan e del contralto Christianne Stotijn.

In scena la seconda Sinfonia in do minore, “Resurrezione”, composta dall’ancor giovane Mahler fra il 1887 e il 1894, idealmente dedicata nell’esecuzione ceciliana alla memoria di Abbado (come preannunciato) in virtù del suo contenuto letterario e programmatico, dalla Totenfeier del primo movimento (ossia dalla rappresentazione di “riti funebri”) al significante testuale del quinto, racchiuso nell’espressione Aufersteh’n (“Risorgerai”) con cui principia la trenodia del poeta e drammaturgo Friedrich Gottlieb Klopstock..

Tale complessa opera sinfonica rivela – ad una sommaria analisi – aggregati contenutistici particolari, che inducono a riflessioni conseguenti sulla sua genesi e concezione nel variegato contesto temporale del terminale tardoromanticismo: in quello stesso decennio (1885-1895) Brahms termina la sua quarta Sinfonia, Čajkovskij compone la quarta, la quinta e la sesta,  Bruckner rielabora la maggior parte dei suoi lavori sinfonici e Franck scrive la Sinfonia in re minore. Sono tutti modi difformi d’intendere il processo evolutivo del genere nell’ottica di un beethovenismo imprescindibile, ossia d’un retaggio formale inalienabile e, per molti versi, condizionante.

Mahler se ne dissocia in senso lisztiano, pur riannodandosi allo spirito “corale” della Nona, poiché una sorta di descrittivismo interiorizzato o emblematico tende a prevaricare la sostanza musicale assoluta e formale (così come l’intendeva Brahms), permeandola e adeguandola alla volontà rappresentativa. Così il primo movimento (Allegro maestoso), esplicitato anche con altri elementi lessicali (Mit durchaus ernstem und feierlichem Ausdruck – Con espressione assolutamente seria e solenne), s’avvale d’una teorica forma tripartita e d’un virtuale bitematismo, ma già il cupo incedere motivico iniziale, di vaga reminiscenza beethoveniana (s’avvertono gli echi dell’ultima Sonata, l’op. 111, anche nella persistenza del medesimo, allegorico e non casuale do minore), appare foriero di una inesausta ricerca espressiva che non mira mai alla definizione tematica o ad una possibile alternanza dialettica. In effetti, quanto esposto si concreta nell’ampio sviluppo d’un accennato Corale e d’una possente “marcia funebre”, forse intesa a glorificare l’ideale eroe raffigurato nella prima Sinfonia, celebrandone il terreno trapasso: l’incalzante ritmo, i frequenti cromatismi, le massicce asperità accordali dei fiati e l’ampio spiegamento percussivo ne costituiscono la compatta sostanza musicale.

Mahler riteneva, non a torto, che una lunga pausa dovesse precedere l’attacco del secondo movimento (Andante moderato), al fine di consentire l’assimilazione del primo e di predisporre, in certo qual senso, alla rievocazione nostalgica di un particolare tematismo più suadente, ancorché condizionato dalle movenze ritmiche o danzanti di un virtuale Ländler. La scrittura, tuttavia, s’arricchisce di figurazioni contrappuntistiche, a volte serrate, se non inusuali nella sua concezione strutturale con costante impiego della massa degli archi, sovente ripartiti in difformi fraseologie “pizzicate”, e con mirati inserimenti discorsivi dei fiati non soverchianti ma gelidamente immersi nello spirito dell’Erinnerung motivico.

Il ricordo, appunto: quasi nelle sembianze dell’autocitazione, il susseguente Scherzo (In ruhig fliessender Bewegung – Con movimento tranquillo e scorrevole), “costringe” nelle maglie d’una formale struttura tematismi liederistici giovanili, legati al ciclo Des Knaben Wunderhorn (“Il corno magico del fanciullo”, ossia la raccolta di fiabe popolari di Brentano, utilizzati anche nella terza e nella quarta sinfonia). Nello specifico si tratta del lied Des Antonius von Padua Fischpredigt (“Sant’Antonio predica ai pesci”), ma l’intreccio tematico risultante muta l’ingenua melodicità in più complesse concatenazioni, non aliene da taluni cromatismi e varie ornamentazioni, forse evocanti, nelle costanti ritmiche, macabre suggestioni. Similmente accade nel “movimento aggiunto”, il susseguente breve ma intenso quarto, Urlicht, ossia “Luce primigenia”: esplicito anche nell’indicazione dinamica (Sehr feierlich, aber schlicht, Choralmässig – Molto solenne ma con semplicità, come un Corale), non cela squarci lirici intensi, affidati, pur nella coralità accordale, alla voce del contralto solista e, per breve tratto, alle fuse timbricità del primo violino e del primo flauto (raddoppiati in coda e per terze dal secondo violino e dal secondo flauto). Anche tale movimento si riallaccia alla citata reminiscenza liederistica, forse concepita come logica prosecuzione dello Scherzo o come momento statico e riflessivo, quasi in veste di preludio a quanto avrebbe espresso il Finale.

L’ultimo movimento (Im Tempo des Scherzo – Tempo di Scherzo; Wild herausfahrend – Selvaggiamente; Allegro energico; Langsam – Lento; Misterioso: Die Auferstehung – La Resurrezione), infatti, irrompe quasi con violenza in un tumulto timbrico e accordale che coinvolge l’immenso spiegamento orchestrale, alternando “fanfare” di corni e di trombe, interne ed esterne, a evocazioni dell’ancestrale Dies irae, fin quando, dopo tali affastellamenti e guazzabugli timbrici, il soprano solista e il coro a cappella intonano la sequenza Aufersteh’n, ja aufersteh’n wirst du, mein Staub, nach kurzer Ruh! (“Risorgerai, sì risorgerai, mia polvere, dopo un breve riposo!”). Dipoi, è un susseguirsi incessante di complessi interludi sinfonici ed episodi testuali, affidati alle voci soliste del soprano e del contralto, fino all’esplosione della terminale apoteosi strumentale, corroborata dall’organo e dalle campane, e al prolungato finale e radioso accordo di mi bemolle maggiore.

Dopo quasi un’ora e mezza di ininterrotte espressioni musicali, di emozioni e di sensazioni d’ogni genere possibile, l’entusiastico e “liberatorio” applauso del numerosissimo pubblico ceciliano: lunghe e interminabili ovazioni al direttore, ai solisti, al coro, al direttore del coro e all’immensa (qualitativamente) orchestra. Del resto, la lettura offerta da Chung è apparsa estremamente coerente con lo spirito mahleriano, straordinaria per l’assimilazione mnemonica della complessa partitura e in piena sintonia con la compagine orchestrale in vera serata di grazia, specie nelle sue prime parti. Eccellenti sotto ogni aspetto le due soliste, il soprano Ailish Tynan e – soprattutto – il contralto Christianne Stotijn per una vocalità potente ed espressiva, ma superlativo s’è rivelato il coro, magnificamente curato da Ciro Visco.