Cina, aria fresca da respirare in scatola contro l’aria che uccide: la vita ridotta di 5 anni
‘Stazioni’ di aria fresca sono state allestite in tre delle 74 città più inquinate della Cina. Un’iniziativa che ha riscosso molto successo tra gli avventori ai quali vengono date delle maschere di ossigeno che erogano aria – contenuta in scatole o bottiglie – proveniente dalla splendida montagna di Laojun, nella provincia di Luanchuan.
Questa settimana, soprattutto nel nord del Paese, il livello di inquinamento ha raggiunto cifre record e a Pechino sia ieri che oggi sono stati registrati livelli di Pm 2,5 (le particelle con un diametro inferiore ai 2,5 micron) pari a 400 microgrammi per metro cubo, quando il limite è di 25 microgrammi. Secondo gli esperti, con un tale inquinamento si mette a rischio la fotosintesi delle piante, nonché la produzione agricola. Inoltre, la qualità dell’aria è talmente pessima che per i cittadini sembra di vivere vicino a un incendio boschivo.
I cinesi però cominiano a percepire le gravi conseguenze che questi fattori possono arrecare alla salute umana. Difatti, l’inquinamento atmosferico ha ridotto di cinque anni l’aspettativa di vita degli abitanti del nord del Paese rispetto a quelli che vivono nel sud e, secondo uno studio, l’inquinamento provoca 1,2 milioni di morti all’anno in tutta la Cina, ma si teme che l’impatto reale sia anche peggiore.
Oltre a provocare disastri ambientali e un peggioramento della salute dei cittadini, l’inquinamento sta diventando anche un problema politico. Dopo aver negato per anni, il governo centrale ha di recente ammesso che lo smog è effettivamente un tema preoccupante e ha cominciato a pubblicare dati sulla qualità dell’aria nelle principali città della Cina, anche se la loro veridicità è spesso contestata. Inoltre, Pechino ha promesso di stanziare 275 miliardi di dollari per affrontare la spinosa questione per i prossimi cinque anni.
Perché la Cina si sta svegliando solo ora dato che il problema ha radici molto profonde? Bisogna considerare due fattori. In primo luogo, negli ultimi anni la qualità dell’aria è peggiorata molto rapidamente e, in secondo luogo, i cinesi stanno acquisendo una consepevolezza sui problemi ambientali che prima non avevano. Infatti, proprio grazie al boom economico, la povertà, prima dilagante in tutto il Paese, è ora passata in secondo piano e grazie a tenori di vita più elevati i cinesi iniziano ora a preoccuparsi con più attenzione della propria salute. Il Yanzhao Metropolis Daily, un giornale del nord della Cina, ha pubblicato una notizia secondo cui Li Guixin, un abitante di Shijiazhuang, avrebbe citato in giudizio il governo per non essere stato in grado di ridurre l’inquinamento dell’aria. Si tratta del primo caso del genere in tutta la Cina. L’uomo, che ha chiesto un risarcimento, ha affermato di aver intrapreso questa battaglia perché “ogni cittadino possa vedere che in mezzo a questa nebbia siamo noi le vere vittime”.
Ora su Pechino gravano non poche responsabilità. Il partito comunista ha promesso che ridurrà l’inquinamento, ma a differenza delle altre manovre del governo, per i cinesi sarà sufficiente guardare fuori dalla finestra per giudicare il fallimento o il successo delle iniziative. Infine, migliorare la qualità dell’aria significherà modificare la struttura di un’economia che regge sulla dipendenza dal carbone e sull’enorme domanda di energia. Riuscirà la Cina del domani a trovare un’altra strada per lo sviluppo mantenendo inalterati i ritmi produttivi di oggi? Difficile, se non impossibile. Qualche sacrificio andrà pur fatto, a meno che, per mantenere gli stessi ritmi, i cinesi non si rassegnino a vivere segregati in casa.
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