Scandalo Mose, Renzi: “Bisogna cambiare le leggi anticorruzione”
Brutto risveglio per Matteo Renzi. Le notizie della mega retata veneziana, delle manette fatte scattare ai polsi del sindaco Giorgio Orsoni e di altre 34 persone, di un nuovo gigantesco appalto macchiato dalla corruzione, sono piombate su palazzo Chigi mentre il premier prendeva caffé e cornetto in compagnia di Raffaele Cantone. E, raccontano, sia a Renzi, sia al nuovo capo dell’Authority anti-corruzione, la colazione è andata di traverso. «E’ una maledizione! Dietro a ogni grande opera spuntano politici corrotti. Basta, è ora di varare una nuova normativa sugli appalti, di reintrodurre il falso in bilancio», si è sfogato più tardi Renzi con i suoi collaboratori.
Non è mancata la classica professione di fiducia del premier verso la magistratura: «I giudici facciano il loro dovere e chi ha sbagliato paghi». «Il premier era turbato», riferirà Cantone. E’ un boccone amaro quello che Renzi è costretto a ingoiare. Un sindaco di centrosinistra in manette, per di più di una città simbolo, con i siti di tutto il mondo che sbattono in apertura la retata veneziana, non è quello che vorrebbe vedere un presidente del Consiglio. Figurarsi del Pd. Soprattutto perché il nuovo scandalo alimenta il vento dell’anti-politica: «Così tutti perdono credibilità, il danno non risparmia nessuno», ha sospirato Renzi prima di partire alla volta di Bruxelles.
NESSUN SOSTEGNO A ORSONI
Nessun attestato di solidarietà a Orsoni. Anzi, una presa di distanze, come ha messo a verbale il vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani: «La vecchia politica deve strapparsi di dosso i suoi sporchi costumi». E inevitabilmente è scattata la rottamazione: «L’inchiesta Mose, che segue di poco quella su Expo, ci dice che è arrivato il tempo perché una nuova generazione di politici si prenda la responsabilità di scommettere sul futuro», ha sostenuto Alessandra Moretti, capolista del Pd nel Nord-Est. Nelle stanze di palazzo Chigi però qualcosa non va. Da quasi un mese, da quando l’8 maggio è esploso lo scandalo dell’Expo, tutti attendono il decreto con i nuovi poteri a Cantone e all’Authority anti-corruzione.
Ma a meno di due giorni dal varo, previsto per domani, Antonella Manzione (capo del dipartimento affari giuridici del governo) non ha ancora messo nero su bianco il testo. Del problema di buon mattino hanno discusso Renzi e Cantone.
Il nodo da sciogliere è quello dei poteri del presidente dell’Authority. Cantone chiede poteri «chiari e definiti». E ha fatto presente al premier che è indispensabile una divisione netta tra vigilanza e gestione degli appalti. Insomma, chi controlla non può anche occuparsi della realizzazione delle grandi opere: un ruolo da commissario straordinario che Cantone vuole assolutamente evitare. Riguardo poi all’Expo va ancora definita nel dettaglio la questione della perizia di variante (quando un appalto subisce modifiche e un aumento dei costi).
E resta da sciogliere il nodo del potere di revoca per le società coinvolte nelle inchieste dei magistrati. «In ogni caso», garantisce uno stretto collaboratore di Renzi, «le procedure anti-corruzione verranno rafforzate. Domani il decreto? Ci stiamo lavorando, speriamo di essere pronti». Un altro provvedimento riguarderà le nuove regole sugli appalti che escluderanno deroghe. «Con l’obbligatorietà», spiega il renziano Davide Ermini, «di mettere on-line tutti gli atti e i passaggi di ogni singolo appalto».
E Renzi vuole scrivere un nuovo disegno di legge anti-corruzione con l’introduzione del reato di autoriciclaggio (tre-otto anni di carcere) e di falso in bilancio (depenalizzato nel 2002 dal governo Berlusconi, torerebbe ad esser punito con 5 anni di carcere). Tant’è, che verrà archiviato il testo attualmente in discussione al Senato. Il nuovo arriverà già la prossima settimana: non prevederà tempi di prescrizione più lunghi, come nel vecchio ddl, che invece saranno complessivi per tutti i reati e finiranno in un altro provvedimento.
Social