Riforma del senato, l’immunità resta, si cercherà solo di limitarla
Pronti via. Partono le riforme per cambiare l’assetto del Senato. Una gara ad ostacoli. Il primo è dietro l’angolo: l’immunità dei nuovi senatori. C’è il rischio di finire fuori strada. Diviso il Pd, divisa Forza Italia, si riparte dal testo base e dai 20 emendamenti presentati in commissione Affari costituzionali dai relatori Finocchiaro e Calderoli. Lo scudo nel disegno di legge originale non c’era. É stato rimesso dai relatori che hanno tenuto conto della posizioni dei gruppi. Gli unici che per la verità non hanno opposto resistenza e si sarebbero lasciati disarmare sono quelli del Nuovo centrodestra (e il ministro Boschi in più di un’occasione gliene ha dato atto).
Chi invece s’è infuriata è stata la presidente pd della commissione Anna Finocchiaro. Proprio lei che nel ’93 firmò la riforma dell’immunità sull’onda di Tangentopoli. D’allora, quel che è rimasto del vecchio scudo parlamentare ha continuato a chiamarsi allo stesso modo pur essendo diventato altro. Il ministro delle Riforme Boschi (e più in genere i renziani) non avrebbe sollevato il problema. Scambiare l’attuale immunità, la decisione sull’autorizzazione all’arresto, per «impunità» del resto è molto facile. Il vento dell’anti-politica pronto a sollevarsi, gli insulti grillini, insomma si rischiava il solito scenario. Ecco allora l’impasse e la Finocchiaro furibonda. Tutti vogliono l’immunità, nessuno lo dice.
Come se ne uscirà? «Noi andremo avanti – conferma il leghista Calderoli – sempre più convinti che se vale per la Camera l’immunità deve esserci anche in Senato. Noi come Lega pensiamo che deve essere prevista per autorizzare perquisizioni e intercettazioni ma non per l’arresto che può scattare anche senza autorizzazione».
Questa mattina Calderoli incontrerà la Finocchiaro. «Il punto di caduta se “loro”, cioè il Pd, non ci hanno ripensato – spiega Calderoli – è che a decidere sia una sezione della Corte costituzionale. L’accordo era questo». L’ipotesi non piace però al ministro Boschi che l’ha subito bocciata. Teme di intasare il lavoro degli ermellini. «Sì, ma non basta dire “no” – obietta l’esponente del Carroccio – con i “no” non si fanno le riforme».
Nel Pd in pochi escono allo scoperto. E dal Senato arriva anche la proposta di diminuire il numero dei deputati, tema che trovi consensi trasversali e che potrebbe montare nei prossimi giorni. Solo una rappresaglia?
Oggi intanto in commissione si comincerà a votare. Un possibile compromesso è caldeggiato dal presidente del Senato Pietro Grasso: a decidere sia un organo terzo. Sì, ma chi? Gli ex presidenti della Consulta? Una commissione di saggi? Prende forma l’idea di una soluzione: l’immunità scatterebbe solo per le funzioni senatoriali. Un mezzo scudo.
GRANE INFINITE
Si rischia un «pasticcio». Ed è per questo che il Pd ufficialmente non si è ancora espresso. E nell’entourage del rottamatore c’è chi propone di votare il testo base lasciando che a decidere sia l’Aula, «se vogliono amputarsi gli attributi facciano pure, prego…».
Le grane del governo non finiscono qui. In realtà sono appena cominciate. Il timore è che si crei un blocco trasversale in grado di allungare i tempi all’infinito e far saltare Italicum e riforma istituzionale. É la fronda di chi vuol far saltare il patto del Nazareno, incagliarlo, in attesa che l’atmosfera si saturi dei veleni del processo Ruby di cui è attesa per il 18 luglio la sentenza di 2° grado. Il «nemico» si annida in un subemendamento favorevole al Senato elettivo, dichiarazione di guerra sottoscritta da 35 senatori, (di cui 19 della maggioranza). Uniti a grillini, fuoriusciti, cani sciolti potrebbero mettere a rischio la maggioranza. «Se arriveranno dal governo le risposte che ci aspettiamo e ci saranno passi avanti sul criterio della proporzionalità – ha ripetuto anche ieri a SkyNews 24 il capogruppo a palazzo Madama Paolo Romani – ci sarà una larga maggioranza». A capeggiare la rivolta azzurra è Minzolini ma altri si muovono nell’ombra. Giovedì l’assemblea con Berlusconi. Ci penserà il capo?
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