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Compravendita di senatori, Prodi ascoltato in tribunale: “Non sapevo nulla, solo voci di corridoio”

Compravendita di senatori, Prodi ascoltato in tribunale: “Non sapevo nulla, solo voci di corridoio”

«Se fossi stato informato di vicende precise, a quest’ora sarei ancora presidente del Consiglio»: lo ha detto oggi Romano Prodi in qualità di teste nel processo sulla presunta compravendita dei senatori che avrebbe causato la caduta del suo governo nel 2008.

Il processo, che si svolge presso la prima sezione del Tribunale di Napoli, vede imputati per corruzione Silvio Berlusconi e il giornalista Valter Lavitola. Prodi fu ascoltato come persona informata dei fatti l’8 marzo dello scorso anno dai magistrati della procura partenopea nel corso delle indagini preliminari, poco prima della chiusura dell’inchiesta. Il Professore è stato inserito nella lista dei testimoni depositata in occasione dell’apertura del dibattimento dai pm Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock, Fabrizio Vanorio e Alessandro Milita.

Prodi: non sapevo nulla. Non era al corrente del tentativo del centrodestra di sottrarre senatori alla maggioranza per far cadere il suo governo. Certo, gli giungevano continuamente «chiacchiere» sulle quali, tuttavia, non si soffermava: ma non è stato mai informato di cose precise. Prodi ha negato di essere stato mai al corrente dei presunti tentativi di corruzione di senatori era a capo del governo tra il 2006 e il 2008. E lo ha sottolineato con una battuta: «Se fossi stato informato di vicende precise, a quest’ora sarei ancora presidente del Consiglio». Quello che gli arrivava era un «chiacchiericcio continuo» sulle presunte trattative, ha detto rispondendo alle domande dei pm Vincenzo Piscitelli e Fabrizio Vanorio.

La lettera di pentimento di De Gregorio. Prodi ha anche sottolineato di avere avuto contezza della vicenda solo quando, il 12 giugno del 2013, l’ex senatore De Gregorio (che secondo l’accusa sarebbe stato corrotto da Berlusconi per passare nelle file del centro destra) gli inviò una lettera con una richiesta di perdono nella quale l’autore sosteneva di aver tradito il mandato degli elettori, dicendosi offuscato da logiche di danaro e di potere. La lettera, con la risposta che Prodi inviò a De Gregorio, è stata acquisita agli atti del processo.