Venezia 71, ilprimo film italiano è ‘Anime nere’, western calabrese di Munzi
Il regista Francesco Munzi porta in Concorso a Venezia 71 ‘Anime nere’, girato in Calabria, ad Africo, terra di ‘ndrangheta e incentrato proprio su questo tema ”senza mitizzazioni”, sottolinea Munzi. All’Adnkronos Munzi racconta come è stato lavorare ad Africo da dove, dice, “si capisce meglio l’Italia”.
”Africo – spiega – è uno dei luoghi più sconosciuti e inaccessibili d’Italia, per andarci servono le jeep, io mi sono approcciato al luogo con un grande timore che veniva dalla lettura del libro da cui sono partito e dalla letteratura giudiziaria e giornalistica su quel luogo. Il mio è stato un approccio sospettoso e faticoso. La mia diffidenza la trasferivo anche agli abitanti del posto. Ma con il tempo, come si fa per un documentario abbiamo cominciato a conoscerci, a stimarci. Si sono fidati che il mio era un approccio senza pregiudizi. Alla fine per me ma anche per il paese è stata una esperienza molto positiva”. ”Io dico sempre che sono un documentarista mancato, nel senso che nella preparazione dei film seguo gli stilemi del documentario, ho bisogno di documentarmi, di conoscere la materia che vado a raccontare e anche di conoscere persone reali che possano avere avuto una vita simile a quella dei miei personaggi. Anche per questo – afferma Munzi – ho bisogno di coinvolgere dei ‘non attori’ nel film, come in questo caso, anche usando il dialetto. Partendo dal ‘documentario’ arrivo meglio al romanzo”. “Da Africo si può capire meglio l’Italia, nel senso che è un posto molto piccolo, di provincia ma ha avuto una storia che si intreccia fortemente a quella del Paese – sottolinea Munzi – in primo luogo perché molti abitanti dell’Aspromonte conservano un senso di identità talmente forte che mettono in discussione ancora adesso, parlandoci, l’unità nazionale. C’è un Sud che ancora non si sente integrato. L’Italia è ancora un Paese di frammenti. Questo si ricollega anche alla mia storia criminale, dove i personaggi soffrono e si autogiustificano perché hanno come un senso di rivalsa nei confronti di uno Stato che non riconoscono. E questa è una ideologia molto pericolosa”.
”L’Aspromonte si è legato a tanti fatti fondamentali nella storia del nostro Paese, partendo dagli anni ’70, dall’eversione nera, dalla storia dei sequestri, dal traffico internazionale di droga. Da un posto piccolissimo – scandisce Munzi – si è arrivati all’Italia e anche al mondo. Questo corto circuito tra minuscolo e gobale mi ha subito incuriosito”. Quanto al rischio di mitizzare un’organizzazione del crimine organizzato, in questo caso la ‘ndrangheta, nel quale sono incappate negli anni tante produzioni su mafia e camorra, il regista lo esclude: ”Credo che ‘Anime nere’ non mitizzi mai la violenza, anzi ne vede gli aspetti più drammatici, più tragici. Io entro dentro una famiglia criminale, racconto apparentemente la guerra contro un altro clan ma in realtà il film racconta la guerra all’interno di questa famiglia, con dei risvolti secondo me molto drammatici dove si dimostra che la lotta per il potere, la violenza non ha nulla di bello o di epico”.
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