Tensione in Ucraina, i separatisti abbandonano l’aeroporto di Lugansk. La Nato invierà truppe per difendere i confini
Dopo essere stati per circa un mese sul punto di crollare nelle tre grandi città assediate, i separatisti hanno ora obbligato i governativi ad abbandonare l’aeroporto di Lugansk e costretto alla resa oltre 700 nemici nella regione di Donetsk.
Il presidente Poroshenko ha accusato la Russia di «aggressione». Dietro a questi imprevisti passi falsi di Kiev vi sarebbero militari professionisti federali. Un tiro così preciso dell’artiglieria contro lo scalo di Lugansk, ad esempio è stato spiegato, può essere stato diretto soltanto da degli specialisti.
IL SECONDO FRONTE
L’attacco imprevisto contro Novoazovsk nella settimana scorsa (con mezzi corazzati materializzatisi dal nulla) ha poi provocato l’apertura di un secondo fronte, che ha alleviato la pressione esercitata dagli ucraini su Donetsk, Lugansk e Gorlovka. Al momento non pare che i separatisti abbiano intenzione di assaltare la città portuale di Mariupol, per tentare in seguito di costruire un corridoio di territorio fino alla Crimea, unitasi alla Russia sei mesi fa. Le loro forze sono troppo esigue e la popolazione locale ha già scavato le trincee per difendersi fino all’ultimo uomo.
UNA NAZIONE IN SCACCO
Stiamo parlando sempre di 12-15mila miliziani filo-russi che tengono in scacco un intero Paese. A loro, stando a notizie di intelligence occidentale, si sono uniti a rotazione da 4 a 5mila regolari di Mosca. Sono molti di più, sostiene il Comitato delle madri dei soldati russi, che ottiene informazioni direttamente dalle famiglie: al momento sono 7-8mila i militari federali impegnati in esercitazioni e “non raggiungibili”. Negli ultimi 2 mesi, sempre secondo questa Ong, fino a 15mila russi sono stati inviati in Ucraina.
Il ministero della Difesa ha definito «deliranti» le affermazioni del Comitato, che è stata classificata come «agente straniero» dalle autorità ufficiali, quindi obbligata a complicatissime operazioni di registrazione dell’organizzazione. Il ministro degli Esteri Serghej Lavrov ha per l’ennesima volta segnalato che la Russia non ha alcuna intenzione di intromettersi in una questione interna di un altro Paese e si è augurato una tregua immediata.
Anche perché l’obiettivo di costringere ad una parziale ritirata gli ucraini è stato raggiunto. Da questo punto di forza si possono ora intavolare negoziati con Kiev. Dopo le dichiarazioni del presidente Putin, i separatisti hanno presentato le loro richieste: ampio status autonomo speciale.
LA RITIRATA
A Minsk, sotto l’egida dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa, sono in corso trattative a porte chiuse. Ma nei negoziati di ieri si è deciso solo di proseguire i colloqui nei prossimi giorni. Più decisionista sarà il vertice della Nato in programma giovedì e venerdì in Galles, con la creazione di quelle che sono state già definite «punte di lancia» (spearhead). Minieserciti pronti a intervenire «ovunque ci sia una minaccia» nel giro di due giorni, con il supporto di aviazione, marina e forze speciali. Si pensa a un primo impiego di quattromila uomini.
Se prima i filo-russi erano dotati di armi leggere, adesso dispongono di artiglieria e carri armati. Ieri mattina hanno rivendicato di aver abbattuto un caccia Sukhoi 27 della regione di Donetsk, vicino al villaggio di Merezhki. Secondo il sito russo Lifenews, i separatisti avrebbero fatto prigionieri 108 militari del battaglione Donbass (costituito dalla Guardia nazionale) nei pressi di Ilovaisk. «Una grande guerra – ha scritto il ministro della Difesa ucraino Geletej – è scoppiata alle soglie delle nostre case, di quelle che l’Europa non ha visto dalla Seconda guerra mondiale. In un tale conflitto le vittime non saranno un centinaio, ma migliaia, decine di migliaia».
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