Caso Yara, la sorella di Bossetti aggredita a calci e pugni nel suo garage
Terno d’Isola. È l’ora dei bambini in cortile, le mamme ai fornelli, gli operai che rientrano dal lavoro. Letizia Laura Bossetti ha appena attraversato il ballatoio. Sparisce oltre la porta. Il citofono è un elenco con decine di nomi. Non passa un secondo dalla chiamata e a rispondere è Ester Arzuffi, la madre che ha appena fatto ritorno con lei dall’ospedale. Ci ha pensato il marito di Letizia a riportarle a casa. Non lascia fare la domanda, la voce è decisa: «Parli con il nostro avvocato». Fine della conversazione. Non dell’incubo. Nel primo pomeriggio, la sorella gemella di Massimo Giuseppe Bossetti, il carpentiere in cella d’isolamento dal 16 giugno per l’omicidio di Yara Gambirasio, è stata aggredita nei garage del condominio dei genitori. In tre l’hanno stesa con calci e pugni. Lei ha perso i sensi. Un’ambulanza l’ha trasportata al pronto soccorso di Ponte San Pietro, dove per altro pare fosse già stata refertata per un episodio simile. L’avevano presa di mira in maniera meno violenta, ma il messaggio era stato inequivocabile. Uno strattone e insulti contro il fratello. E prima ancora le era stata fatta trovare la pagina di un quotidiano dedicata al delitto della tredicenne di Brembate e al suo presunto aguzzino.
L’avvocato Benedetto Maria Bonomo si trincera. In ospedale si è presentato anche lui e oggi incontrerà i suoi assistiti per stendere un’altra querela. Risulta che i precedenti episodi siano già stati denunciati. Ammette solo, Bonomo, che «la situazione è di grande tensione». E ribadisce quello che negli ultimi tempi ha ripetuto in più di una trasmissione televisiva, perché il concetto sia chiaro: «Una cosa è l’amore per un parente, un’altra è la complicità in un delitto». Come a dire: è naturale che difendano Massimo, ciò non significa che stiano nascondendo o siano responsabili di qualcosa. Il punto sembra proprio questo: un’escalation di violenza, contro la gemella che non si è mai nascosta davanti ai giornalisti. Coincidenza, qualche giorno fa aveva ribadito di credere fermamente all’innocenza del fratello e la sua foto era finita di nuovo sui giornali. Può essere stata la molla?
Gli unici a scucire dettagli, tra il cancello e le rampe dei box, sono i vicini di casa. Non che parlino volentieri. «Io so tutto – ammette, a forza di insistere, una quarantenne davanti a un gruppetto di donne -, è accaduta una cosa gravissima». Al cronista, però, non la racconta. «Ho figli piccoli, mi capisca. Dopo oggi, c’è da avere paura sul serio». L’altro che è stato testimone è un anziano col cane. E anche lui dei giornalisti non ne vuole sapere. Non sa resistere, però, alle vicine. Letizia aveva parcheggiato la macchina nel garage per andare ad assistere il padre Giovanni, malato da tempo. Doveva esserci una porta di sicurezza aperta. Da lì sarebbero entrati, e usciti, tre tizi. Le hanno sferrato calci e pugni in pancia, finché ha perso i sensi ed è crollata a terra. Scattato l’allarme (non è chiaro se lanciato proprio da un vicino), sono arrivati gli agenti della polizia locale e i carabinieri della compagnia di Zogno, mentre la donna, 43 anni, veniva accompagnata in ospedale.
Non sarebbe stata in grado di dire se gli aggressori sono le stesse persone che l’avevano attaccata in precedenza, sempre sotto il condominio di Terno. Lei stava salendo in auto. Loro le hanno afferrato il braccio e l’hanno spinta all’interno, inveendo contro «l’assassino Bossetti». Un’altra tegola, pesantissima, su una famiglia già stremata.
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