Turchia, via libera al velo nelle scuole, vietati piercing e tatuaggi. L’opposizione: “Queste sono decisioni prese senza senno”
C’erano una volta i costumi laici in Turchia. La notizia è arrivata come una doccia fredda, pubblicata senza troppi annunci sulla Gazzetta Ufficiale di sabato scorso. Da oggi in Turchia sarà permesso portare il velo nelle scuole, tolleranza zero invece contro piercing e tatuaggi. Il provvedimento, che dopo poche ore ha già suscitato violente polemiche nel Paese, porta la firma del governo guidato dall’ex ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, noto per le sue idee rigidamente conservatrici e messo a capo dell’esecutivo apposta dal nuovo presidente della Repubblica, l’islamico, sempre meno moderato, Recep Tayyip Erdogan, come suo uomo di estrema fiducia.
E in effetti fino a questo momento le decisioni nel nuovo capo di governo sembrano la mera realizzazione dei desideri del nuovo Capo di Stato.
La normativa prevede che si possa iniziare ad andare a scuola con il turban, il velo islamico nella tradizione turca, già dall’età di 10 anni. Una decisione che va contro le promesse fatte da Erdogan non più di un paio di anni fa, quando parlando di velo nelle scuole aveva assicurato che la liberalizzazione si sarebbe limitata all’università.
Se da una parte il provvedimento apre, dall’altra chiude senza pietà. Se le studentesse infatti potranno andare a scuola con il capo coperto per motivi religiosi, gli altri non potranno indossare cappelli, berretti o altre cose che limitino il loro riconoscimento. Stando a quanto riporta il quotidiano Hurriyet, e questa è la parte più discutibile del provvedimento, la tolleranza zero colpisce anche l’ostentazione di simboli politici, tatuaggi, piercing, capelli tinti, make-up per le fanciulle, barba e baffi per i ragazzi. Chi sgarra può venire sospeso o espulso dall’istituto.
In molti ora si chiedono come queste regole potranno venire adottate in pratica. Chi conosce la Turchia, sa che le ragazze fanno un massiccio uso di cosmetici e che, negli ultimi anni, hanno iniziato a cambiare il colore dei loro capelli sempre più giovani. Abitudini radicate in una società laica e sempre più benestante, che potrebbero essere molto difficili da fare mutare in modo così radicale come vorrebbe Erdogan, che guida la Turchia dal 2002.
L’opposizione è sul piede di guerra, i sindacati hanno già iniziato le prime rimostranze. La normativa, fra le altre cose non chiarisce cosa succederà a chi ha già un tatuaggio o un piercing sul suo corpo. Vali Demir, il capo del Sindacato scuola, ha dichiarato ai media locali: “Queste sono decisioni prese senza senno”, annunciando un appello al Consiglio di Stato, perché le nuove normative in fatto di abbigliamento sono palesemente contro la Costituzione. Sulla legittimità del provvedimento ha espresso forte scetticismo anche l’Unione Avvocati turca.
Ma se nel Paese c’è chi si preoccupa, dall’altra parte la componente conservatrice sembra pronta ad approfittare della situazione. Un’altra sigla sindacale, dall’orientamento religioso, ha chiesto al governo di abolire l’educazione mista.
Da mesi l’attuale presidente della Repubblica, Erdogan, interveniva sui comportamenti dei turchi nella vita quotidiana. Non solo sulla questione velo, ma anche sul problema dell’aborto e sulla richiesta alle donne turche di fare almeno tre figli. Negli anni precedenti, da primo ministro, aveva promesso, durante un incontro pubblico, che avrebbe tirato su “generazioni di musulmani devoti”. Tutto sembrerebbe andare secondo i suoi piani. Nel luglio scorso, proprio Erdogan aveva espresso il suo personale disappunto nei confronti di chi si fa tatuare la pelle, prendendosela con un giocatore di calcio locale.
Adesso, l’azione di sensibilizzazione del Presidente sembra rafforzata da quella del suo primo ministro. Secondo il quotidiano Taraf, Davutoglu, nel fine settimana, avrebbe invitato i negozianti dei centri commerciali a dedicare un momento comune di preghiera tutte le mattine. Scene da un Paese, che fino a tre anni fa, veniva considerato da molti una perfetta sintesi di Stato laico a maggioranza musulmana e un modello per il Medio Oriente.
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