Notte degli Oscar 2015, il miglior film è “Birdman”. American Sniper resta a bocca asciutta. All’italiana Canonero quarta statuetta per i costumi
E alla fine ha vinto “Birdman”, la commedia nera su ego e fama di Alejandro Gonzalez Iñárritu che ha iniziato la sua lunga marcia verso gli Oscar a Venezia, alla fine di agosto. Dopo “Argo” e dopo “The Artist”, per la terza volta in quattro anni i membri della Academy hanno scelto di premiare un film che parla di loro stessi, un film sulla cultura delle celebrità e che si prende gioco di quegli stessi improbabili supereroi sui quali ormai poggia l’industria del cinema americana. L’edizione numero 87 degli Oscar à stata in particolare un personale trionfo per Iñárritu, che ha diretto e scritto l’originale e tecnicamente complesso film che ha finito la serata con quattro statuette, inclusa quella per la sceneggiatura e per la regia. Non c’è stata invece statuetta per il coraggioso protagonista di “Birdman”, Michael Keaton. L’Oscar per il migliore attore è andato infatti a Eddie Redmayne, che in “La Teoria del tutto” ha interpretato la parte dell’astrofisico britannico Stephen Hawking. Come ampiamente previsto, migliore attrice è risultata invece Julianne Moore, alle prese con le nebbie dell’Alzheimer in “Ancora Alice”.
La cosiddetta grande notte delle stelle è stata una gran bella notte anche per “The Grand Budapest Hotel”. Il film di Wes Anderson è stato riconosciuto con quattro statuette, una delle quali è andata alla nostra costumista Milena Canonero, che così porta a casa il quarto Oscar della sua onorata carriera. Ci sono state tre statuette per “Whiplash”, tra cui quella per J.K. Simmons come non protagonista. Migliore attrice non protagonista è emersa invece Patricia Arquette, unico Oscar per “Boyhood” , il film di Richard Linklater girato nell’arco di 12 anni che secondo i pronostici avrebbe dovuto essere il grande rivale di “Birdman”. Nel ringraziare, Patricia Arquette ha chiesto che le donne in America possano finalmente avere gli stessi compensi e gli stessi diritti degli uomini, un appello accolto subito da Meryl Streep, in competizione contro la Arquette per “Into The Woods”, con un entusiastico: «You go girl».
E’ stato solo uno dei tanti momenti di una cerimonia molto politica e che tenderà a rafforzare lo stereotipo di Hollywood come un bastione di “liberal” e di “rossi”. L’Academy era stata molto criticata per avere dato solo due candidature a “Selma”, il film di Ava DuVernay su Martin Luther King, e per avere in particolare ignorato la sua regista. Quasi a voler compensare, la cerimonia ha avuto un numero molto elevato di presentatori di colore, tra gli altri Eddie Murphy, Oprah Winfrey, Viola Davis e Chiwetel Ejiofor. E quando il rapper e poeta Common e John Legend hanno cantato la canzone “Glory” l’intera sala si è alzata in piedi, Leonardo DiCaprio era in lacrime. «La lotta per la libertà e per la giustizia va avanti», ha detto il cantante che ha anche ricordato che «viviamo nel paese con più gente incarcerata del mondo».
“The Imitation Game”, il film con Benedict Cumberbatch nella parte del matematico britannico Alan Turing che decifrò i codici radio nazisti e che poi, condannato per omosessualità, scelse il suicidio ha avuto un solo Oscar, per la migliore sceneggiatura. Ma Graham Moore, l’autore gay, ha usato il suo momento sul palco raccontando che anche lui a 16 anni aveva seriamente contemplato il suicidio per la difficoltà di vivere come un diverso. «Restate strani, restate diversi», ha implorato. C’e’ stato anche un applauso per Edward Snowden, l’ex analista dei servizi segreti americani che ha reso pubbliche migliaia di pagine di comunicazioni segrete . Per il governo Usa è un traditore. Ma in “CiztizenFour”, un documentario sulla sua vicenda che ha vinto l’Oscar, è un eroe e Laura Poitras, una delle autrici, lo ha ringraziato per avere rivelato «minacce alla nostra privacy e alla nostra democrazia».
Anche la vittoria di “Birdman”, una scelta di apparente vanità, si è trasformata in un appello alla tolleranza per gli immigrati, un tema molto scottante politicamente anche negli Stati Uniti. Colpa del regista messicano Iñárritu, che ha chiuso la cerimonia augurandosi che i suoi compatrioti possano un giorno avere il governo che si meritano. E che i messicani che vivono negli Stati Uniti possano venire trattati «con la stessa dignità e rispetto che hanno avuto quelli che sono venuti prima di loro e hanno costruito questa incredibile nazione di immigranti».
Ci sarà anche chi leggerà una scelta politica nel non avere premiato “American Sniper”. Con oltre 300 milioni di dollari di incassi solo negli Usa, il film di Clint Eastwood con Bradley Cooper nella parte del cecchino piu’ letale della storia militare americana ha fatto più soldi di tutti gli altri sette candidati al miglior film messi assieme. Ha finito la serata con una sola statuetta, per gli effetti suono. E adesso c’è chi si domanda se è stato un verdetto sul film o sulla guerra in Iraq e sulle sue catastrofiche conseguenze. Domenica sera non si è sottratto alla politica nemmeno il tappeto rosso, di solito un momento di frivolezza e vanità. Sin troppo, dicono adesso molte attrici in ribellione contro i reporter che chiedono solo dei loro vestiti e dei loro gioielli. L’hashtag #AskHerMore , chiedetele di più, è stato abbracciato da molte dive capeggiate da Reese Witherspoon, candidata per “Wild”. «Questo è un movimento per dire che siamo di più che i nostri vestiti», ha dichiarato.
Social