Calciopoli, processo prescritto la Cassazione ribalta la sentenza: Prosciolti Moggi e Giraudo. Condannato solo De Santis: “Provo una grande delusione”
Calciopoli non c’è più. La Cassazione ha fatto calare la prescrizione sulla maggior parte dei reati contestati dallo scandalo di Calciopoli. Prescritta l’associazione a delinquere che era stata contestata all’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi, e all’ex ad bianconero, Antonio Giraudo. Escono scagionati da ogni accusa gli ex arbitri Paolo Bertini e Antonio Dattilo mentre è stata confermata la condanna a un anno di reclusione (pena sospesa) all’ex arbitro Massimo De Santis. Queste le decisioni della Cassazione in merito al processo che aveva messo a soqquadro il calcio italiano nel 2006. Un giorno intero di lavoro in Cassazione, otto ore di dibattito e sei di camera di consiglio. Il verdetto è arrivato in piena notte, all’una e mezza in un Palazzaccio deserto. Così, con la sentenza della Cassazione lo scandalo va in archivio con prescrizioni che evitano le condanne, diverse assoluzioni e solo una condanna definitiva, quella di De Santis.
La terza sezione penale della Cassazione presieduta da Aldo Fiale ha accolto le richieste del procuratore generale Gabriele Mazzotta. Luciano Moggi, che era stato condannato a 2 anni e 4 mesi in Appello, e Antonio Giraudo (per lui chiesti due anni) sono prescritti ma non assolti, così come il pirotecnico Mazzini e Pairetto, entrambi condannati a 2 anni. Bertini e Dattilo, i due arbitri che per nove anni sono stati sotto torchio, ne escono assolti, puliti. Come dire che tutto il polverone di Calciopoli è stato frutto solo di due arbitri, di De Santis e di Racalbuto che era stato prescritto in appello.
«Abbiamo scherzato per nove anni. Il processo si è risolto nel nulla – ha detto a caldo Luciano Moggi – e per noi solo tante spese. Il campionato è stato regolare, regolari i sorteggi degli arbitri e le conversazioni con le schede estere non ci sono mai state». Un’amara conclusione per un processo che è stato seguito con passione per anni, da quel 2 maggio del 2006 quando molte cose sono venute a galla. Erano, all’inizio, le trascrizioni delle intercettazioni di telefonate spesso bizzarre, colloqui di Moggi, dell’ex vice presidente della Federcalcio Innocenzo Mazzini, di altri personaggi legali al calcio come i due designatori Bergamo e Pairetto. Spesso erano millanterie, sparate per mostrare il proprio potere ma spesso nulla di più. Certo, non c’era l’etica sportiva che servirebbe, ma va detto che le trascrizioni contenute nell’informativa dei carabinieri erano solo quelle che davano un senso alla vicenda. Erano migliaia le telefonate, se non state prese solo poche decine trascurando quelli di altri (o altro) club. Ma il calcio – e Calciopoli è stato un prezioso strumento – serviva anche a rimanere sotto i riflettori. Erano i colloqui di addetti ai lavori che da anni erano amici, si conoscevano, volevano mostrare i avere il polso della situazione. Così, Moggi consigliava le griglie per le designazioni giocando proprio con chi quelle griglie doveva prepararle, ossia Bergamo e Pairetto. E c’era anche la sparata di Moggi che diceva di avere chiuso nello spogliatoio di Reggio Calabria Gianluca Paparesta dopo Reggina-Juventus finita 2-1 il 6 novembre 2004. Una frase un po’ esagerata perché, secondo testimoni presenti quel giorno allo stadio, l’ex arbitro barese non è mai stato chiuso nello spogliatoio, trattato male, a parolacce sicuramente sì ma questo accade – non solo nel calcio – assai spesso tra dirigenti e arbitri. Abbiamo assistito alle sceneggiate del primo processo alla Caf presieduta da Cesare Ruperto, alle squalifiche, alle parole in latino e greco di Lotito, allo spavento dell’osservatore dell’Aia Ingargiola presente quel famoso giorno a Reggio Calabria. «Cumpà, non ho mai visto una cosa così», e tutti lì, ad ascoltare perché lui, prima di quella confessione, non aveva detto niente a nessuno.
Oggi, a distanza di anni, rileggere quanto è accaduto allora sa di tempo e soldi persi mentre il vero scandalo è un altro. Parliamo delle scommesse che hanno falsato lo sport, risultati da aggiustare, un gol o due nel primo tempo, questione di over o no, questione di soldi, e non di un Moggi che parlava con i designatori e chiedeva il miglior arbitro per la sua Juve, De Santis o Collina che allora erano il top. Doveva forse chiedere il peggiore? Ma nelle sue telefonate a Bergamo e Pairetto, Lucianone non ha mai chiesto di vincere una partita con un fischio.
«Provo una grande delusione – ha ammesso De Santis – non auguro a nessuno di capitare in questo tipo di giustizia. Ora aspetto di leggere le motivazioni».
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