Disastro Germanwings, parla la fidanzata di Lubitz: “C’era un misto di gelosia e ossessione in lui. Aveva anche un grave problema alla vista”
«Era arrivato al punto di pretendere con che vestiti dovessi uscire di casa al mattino per andare a lavorare. C’era un misto di ossessione e gelosia nel suo atteggiamento. È stato quello il vero momento di rottura tra noi». Parla per la prima volta Kathrin Goldbach, 26 anni, la fidanzata storica di Andreas Lubitz, il co-pilota autore della strage della Germanwings. Vivevano assieme nella palazzina del quartiere residenziale di Zum Hexenkotten, a Düsseldorf.
Sul citofono ci sono ancora i due nomi «Lubitz-Goldbach», ma da qualche settimana Kathrin aveva fatto le valigie, salvo un ripensamento dettato da una notizia più grande di lei che non avrebbe potuto gestire da sola. «Aspetto un figlio da Andreas – racconta -. Glielo avrei comunicato, con calma e dopo esserci ritrovati. Purtroppo è accaduto l’imponderabile».
Forse anche questa volta avrebbe perdonato l’uomo la cui esistenza era sequestrata da mille ossessioni, compresa quella di voler controllare le persone, fino al punto di cronometrare il tempo che la ragazza impiegava nel percorrere la strada tra lavoro e casa.
Un tedioso e quotidiano rituale di sorveglianza esercitato sulla povera Kathrin, insegnante di lettere alla Gesamtschule di Krefeld (18 km da Düsseldorf), ma non su se stesso, che per cinque mesi aveva avuto una relazione con una hostess, ricordata dal tabloid Bild con il nome fantasioso di Maria. Quindi è Kathrin, e non Maria, «la graziosa ragazza bionda» di cui parlò nei giorni scorsi Habibalah Hassani, il ristoratore della pizzeria Vulcano dove la coppia andava a cenare un paio di volte la settimana. Hassani concorda sulle fobie di Lubitz e rivela come «a volte voleva che gli elencassi tutti gli ingredienti della pizza che stava mangiando».
Kathrin si sofferma solo un attimo sulle circostanze drammatiche di mercoledì scorso, quando le televisioni iniziavano a trasmettere le prime e frammentarie notizie della tragedia. In quelle ore si stava facendo largo ancora l’ipotesi di un guasto tecnico. «Ho cercato di raggiungere la Francia, ma quando è emersa la mostruosità dell’accaduto non me la sono più sentita».
La ragazza preferisce glissare sul terribile gesto compiuto da Lubitz, ma apre il cassettino dei ricordi della loro relazione. Si erano conosciuti in un Burger King, «non mangiando patatine con ketchup, ma lavorando. Era un modo onesto per mettere da parte denaro e alimentare i nostri sogni. Alla fine del turno parlavamo spesso di quello che avremmo voluto fare da grandi». Kathrin l’insegnante, il sogno di Andreas è ormai ben noto a tutti: voleva solcare i cieli del mondo, pilotare velivoli prestigiosi, ma non aveva i requisiti per farlo.
Poco alla volta stanno venendo a galla problemi non soltanto di salute mentale
Lubitz soffriva anche di un serio problema di vista che ne limitava la capacità di muoversi durante la notte. Nonostante questo lo scorso anno aveva ottenuto il certificato di idoneità dal centro aeromedico della Deutsche Lufthansa AG di Monaco (e ieri Lufthansa ha fatto sapere che per i controlli «hanno medici ma non accesso agli atti». E che per l’idoneità al volo l’ok lo dà l’istituto federale).
Il dato emergerebbe dalle cartelle cliniche depositate al reparto di oftalmologia dell’Universitäts Klinikum di Düsseldorf e dai farmaci rinvenuti nell’abitazione dei genitori a Montabaur. Gli inquirenti hanno infatti sequestrato confezioni di Macugen, soluzione per curare degenerazioni a carico della retina. Inoltre il 28enne autore della strage non conosceva perfettamente l’inglese. Non era in possesso del certificato «Operational Level 4» rilasciato ai piloti dall’Icao, l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile. Un uomo in totale disarmo e pericoloso, al quale, come si evince dalla registrazione della scatola nera, il comandante del velivolo, Patrick Sonderheiner, aveva quasi implorato in ginocchio «per amor di dio, apri la porta, apri questa maledetta porta!».
Tra mille difficoltà prosegue il tentativo di recupero delle vittime, una delle quali, la tedesca Daniela Ayon, aveva vissuto per un anno a Lecco. Gli inquirenti francesi hanno isolato il Dna di 78 dei 150 passeggeri. Le operazioni di ricerca dei restanti corpi sono proseguite con decine di voli degli elicotteri e da oggi anche con i fuoristrada, per facilitare la rimozione del relitto. È una lotta contro il tempo, spiegano i soccorritori, per la presenza nella zona dei lupi, che rende lo scenario ancora più macabro.
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