Marino contro tutti pronto a ritirare le dimissioni: “Oggi abbiamo una giunta densa di decisioni”. Il Pd nel caos cerca una via d’uscita
A questo punto sembra snodarsi la trama di una commedia con aspetti non proprio allegri anzi forse più che mai grotteschi per le sorti della Capitale. Ignazio Marino è pronto a ritirare le dimissioni. L’annuncio potrebbe arrivare nella giunta comunale convocata alle 11 di questa mattina. «Lavoriamo e e guardiamo oltre, Roma deve andare avanti», aveva detto ieri il sindaco. Un cambio di passo evidente, osserva La Stampa.it, che svela l’intenzione di andare alla resa dei conti. E che oggi potrebbe essere una giornata chiave si capisce anche dallo strappo di Stefano Esposito. «Oggi non sarò in giunta», fa sapere di prima mattina l’assessore capitolino ai Trasporti. Ai giornalisti che lo incalzavano al suo arrivo in Campidoglio, Marino ha risposto: «Oggi abbiamo una giunta molto, molto importante. Densa di decisioni».
In Campidoglio, dopo le giornate dell’arrocco, tutti sono in attesa della mossa del cavallo. Nel Pd a prevalere è sempre la linea della fermezza: nessun arretramento, il sindaco se ne deve andare. Forza Italia chiede un passaggio in aula e la votazione della sfiducia, varie opposizioni sono pronte a dimettersi, ma i grillini vogliono stanare il Pd: «Per cacciare Marino c’è la nostra mozione, presentata nei tempi stabiliti», dice Roberta Lombardi. «Basta che le altre forze politiche la sottoscrivano». Nel Pd ora scendono in campo pure i big della vecchia guardia: Bersani, che nei giorni scorsi ha avuto modo di parlare con Marino, suggerisce a tutti di evitare «il muro contro muro», perché «anche in passato abbiamo avuto problemi con sindaci e amministratori locali; e discutendo, anche litigando, ne siamo sempre venuti fuori. La soluzione va cercata insieme, cercando di tenere dentro tutti. Altrimenti» e qui l’ex segretario butta lì una delle sue immagini a effetto, «alla fine il pesce ti scappa di mano…».
Per far decadere la giunta servono le firme in calce a dimissioni contestuali di ben 25 consiglieri: il Pd ne somma solo 19 e non tutti pare siano tutti pronti a gettare la spugna. Dunque bisognerebbe far dimettere non solo tutti quelli del Pd, ma anche altri sei consiglieri delle opposizioni, visto che Sel non è di questo avviso. Anche votare la sfiducia in aula consiliare, che resta lo sbocco più lacerante ma più probabile, non solo sarebbe un enorme boccone amaro da far digerire a quelli del Pd, che dovrebbero votare contro il loro sindaco insieme ai 5stelle: ma sotto il profilo formale la sfiducia deve essere richiesta da almeno 19 consiglieri e viene messa in calendario dal presidente del consiglio comunale non prima di 10 giorni e non dopo 30, quindi passerebbe altro tempo. Ma la sfiducia, voto palese e chiamata nominale, diventa cogente solo se ottiene 25 voti su 48. Se il Pd capitolino, che non vuole votare insieme alle opposizioni, uscisse dall’aula non confermando la fiducia al sindaco, ma non votando la sfiducia (uno degli escamotage ipotizzati per non lacerare gli animi), questa non passerebbe: perché sommati, i 19 voti delle opposizioni non sarebbero sufficienti a farlo cadere.
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