L’America al voto decide il suo futuro. Si chiude la campagna più velenosa della storia Usa. Hillary in ripresa e Trump si prepara allo scontro a fuoco: “Sondaggi truccati”
L’America decide. Gli elettori chiamati alle urne per il dopo Obama sceglieranno se affidare il futuro del Paese alla candidata democratica Hillary Clinton o al repubblicano Donald Trump. I contendenti hanno chiuso la campagna presidenziale, la più velenosa e divisiva degli ultimi decenni, con due visioni diametralmente opposte. “Sarò la presidente di tutti”, ha detto la democratica di fronte a 33.000 persone riunite all’Independence mall di Philadelphia. Mentre il repubblicano ha chiesto la fine dell’”establishment corrotto” di Washington e ha promesso che farà dell’America una “priorità”.
“Voglio essere la presidente di tutti, non solo di coloro che hanno votato per me. Il compito che ho davanti è quello di riunire il Paese”, ha detto la Clinton, accusando il suo rivale di aver “aggravato” le “fratture e le divisioni” tra gli americani. “Mia madre mi ha sempre detto, la rabbia non è un programma”, ha affermato la democratica, che ha visto nel suo comizio finale la partecipazione di due stelle della musica come John Bon Jovi e Bruce Springsteen.
Bagno di folla per i Clinton al seggio
Presenti anche il presidente Barack Obama, la moglie Michelle, l’ex presidente Bill Clinton e la figlia Chelsea. “Scommetto su di voi come voi avete scommesso su di me. Scommetto che l’America respingerà la politica del risentimento, e che invece della paura sceglierà la speranza”, ha detto Obama introducendo Hillary e denunciando l’incompetenza del suo avversario.
Da parte sua Trump, nel corso di un comizio in Florida, ha assicurato che la sua vittoria “sancirà la fine dell’establishment corrotto di Washington”, lo stesso “sistema distorto dal quale è protetta Hillary Clinton”. “Il mio contratto con l’elettore americano – ha detto il tycoon newyorkese – comincia con un programma per mettere fine alla corruzione del governo. Ripuliremo il pantano!”.
Nel frattempo gli ultimi sondaggi e proiezioni pubblicati negli Stati Uniti danno in leggero vantaggio Hillary Clinton, anche grazie al rimbalzo delle ultime ore dovuto alla decisione dell’Fbi di chiudere definitivamente l’inchiesta sull’emailgate. Secondo la media degli ultimi sondaggi stabilita da RealClearPolitics, a livello nazionale Clinton è in vantaggio di 3,2 punti, al 45,4% contro il 42,2% di Trump.
COME FUNZIONA IL SISTEMA ELETTORALE – Ecco tutti i ‘come’ e ‘se’ del sistema elettorale degli Stati Uniti.
COLLEGIO ELETTORALE: Inserito nella Costituzione americana dai ‘Founding fathers’ come un elemento teso a tenere lontane dalle elezioni ”le passioni popolari”, il sistema del Collegio elettorale si basa sull’idea che l’elettore esprimendo il proprio voto in realtà non vota il candidato ma una serie di grandi elettori, a lui collegati, che eleggeranno effettivamente il presidente in un secondo momento. L’elezione del presidente degli Stati Uniti è quindi indiretta.
Eletti nei singoli stati in numero proporzionale alla popolazione – che corrisponde alla somma dei deputati e senatori che rappresentano lo stato al Congresso – i grandi elettori sono 538: ad un candidato sono necessari quindi 270 voti per aggiudicarsi la Casa Bianca.
WINNER TAKES ALL: I voti elettorali vengono aggiudicati all’interno di ciascuno stato con un sistema maggioritario secco, che viene definito il ‘winner takes all’. Fanno eccezione Nebraska e Maine, gli unici due stati che hanno scelto di assegnare i loro voti elettorali, rispettivamente cinque e quattro, con il sistema proporzionale. In tutti gli altri stati il vincitore prende quindi tutto anche se per uno scarto minimo di voti, come hanno dimostrato sempre le elezioni del 2000, quando George W. Bush si è aggiudicato, con un vantaggio di poche centinaia di voti, tutti i 27 voti elettorali della Florida che gli hanno consegnato la Casa Bianca.
Incidenti di percorso si sono verificati anche nel 1888 ai danni del presidente in carica Grover Cleveland – il quale, comunque, per la cronaca quattro anni dopo fu rieletto, diventando l’unico presidente a tornare alla Casa Bianca dopo una sconfitta – e nel 1876, quando le elezioni furono perse dal democratico Samuel Tilden che aveva vinto il voto popolare.
ELECTION DAY: Il Congresso ha stabilito nel 1845 che si votasse sempre il primo martedì del mese di novembre quattro anni dopo l’ultima elezione del presidente. Una scelta del mese legata alle radici fortemente agricole del Paese – a novembre si era concluso il raccolto e le strade non erano ancora bloccate dalla neve – e una scelta del giorno legata al fatto che, calcolando che la domenica era dedicata alla chiesa, molti degli elettori che vivevano nelle zone più remote non sarebbero riusciti a raggiungere i centri dove si votava in tempo il lunedì.
Secondo la Costituzione i requisiti per diventare presidente sono tre: un’età superiore ai 35 anni, essere nati negli Stati Uniti e risiedervi da almeno 14 anni.
COSA SUCCEDE SE NESSUNO OTTIENE MAGGIORANZA VOTI ELETTORALI: In caso di parità tra i due candidati all’interno del Collegio elettorale, la decisione viene demandata alla Camera dei rappresentanti che sceglie il presidente fra i tre candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti elettorali. La delegazione di ciascuno stato alla Camera deve esprimere un solo voto, e se non riesce ad avere una maggioranza al suo interno, il suo voto non verrà conteggiato. Diventa presidente chi ottiene la maggioranza dei voti degli stati, che è 26.
- TRADIMENTI DEI GRANDI ELETTORI. Tra gli scenari più foschi che erano stati prospettati durante il lunghissimo stallo elettorale del 2000 tra Bush e il democratico Al Gore, era spuntato anche quello – che non si è poi verificato – di un possibile tradimento del suo candidato da parte di un grande elettore al momento della riunione del Collegio elettorale, che avviene, secondo la legge, il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre. Nella storia americana, anche più recente, non sono mancati questi ”tradimenti”.
Nel 1988, per esempio, Margaret Leach, elettrice del candidato democratico Michael Dukakis – che fu nettamente sconfitto da Ronald Reagan – votò invece per il candidato alla vice presidenza, il senatore Lloyd Bentsen. Mentre nel 1976 fu un grande elettore repubblicano dello stato di Washington che invece di votare per lo sconfitto Gerald Ford votò, anticipando i tempi, per Reagan. Anche nel 2000 ci fu una sorpresa, ininfluente ai fini dei risultati: in segno di protesta per il modo in cui era stata condotta l’elezione un grande elettore di Al Gore votò scheda bianca.
I GRANDI ELETTORI STATO PER STATO – Ecco il numero dei grandi elettori di tutti e 50 gli stati più il distretto di Columbia:
- California 55
- Texas 38
- Florida e New York 29
- Illinois e Pennsylvania 20
- Ohio 18
- Georgia e Michigan 16
- North Carolina 15
- New Jersey 14
- Virginia 13
- Washington 12
- Arizona, Indiana, Massachusetts e Tennessee 11
- Maryland, Minnesota, Missouri e Wisconsin 10
- Alabama, Colorado e South Carolina 9
- Kentucky e Louisiana 8
- Connecticut, Oklahoma e Oregon 7
- Arkansas, Iowa, Kansas, Mississippi, Nevada e Utah 6
- Nebraska, New Mexico e West Virginia 5
- Hawaii, Idaho, Maine, New Hampshire e Rhode Island 4
- Alaska, Delaware, District of Columbia, Montana, North Dakota, South Dakota, Vermont e Wyoming 3.
Social