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Università, dopo la laurea il lavoro resta un sogno. Giovani sempre più precari e disoccupati

Aumenta la disoccupazione tra i giovani laureati e anche quando il lavoro si trova, rispetto al passato e’ meno stabile. E’ quanto emerge dal XIV rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati presentato oggi a Roma nella sede della Crui, che ha coinvolto circa 400mila laureati.
Si tratta di quasi 186mila laureati del 2010 (piu’ di 113mila di primo livello; 54.300 biennali specialistici; quasi 16mila a ciclo unico, ovvero i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza) intervistati nel 2011, a un anno dal conseguimento del titolo; 53mila laureati del 2008, specialistici e a ciclo unico, intervistati dopo tre anni; 22mila laureati pre-riforma del 2006, intervistati dopo cinque anni.
Dal rapporto emerge che una percentuale notevole e in crescita di giovani, tra cui vi sono anche profili che in tempi migliori non avrebbero avuto difficolta’ a trovare un lavoro, e’ a rischio di disoccupazione prolungata o di inattivita’, con effetti che potrebbero divenire irreversibili. Tali rischi includono la difficolta’ protratta di trovare lavoro e la persistenza di differenziali salariali. Secondo la documentazione piu’ recente (Istat), a gennaio 2012, i tassi di disoccupazione giovanile nel nostro Paese hanno raggiunto livelli superiori al 31%.
Contemporaneamente emergono aree a rischio di marginalita’ per i giovani non inseriti in un percorso scolastico/universitario/formativo e neppure impegnati in un’attivita’ lavorativa. Nel 2010, in Italia il fenomeno riguarda oltre due milioni di giovani (piu’ del 22% della popolazione di eta’ 15-29 anni). Su questo terreno la posizione dell’Italia, al vertice della graduatoria europea, e’ distante dai principali paesi quali Germania (10,7), Regno Unito e Francia (entrambi 14,6), risultando cosi’ particolarmente allarmante.
Non solo, il rapporto evidenzia inoltre che in Italia e’ penalizzata l’occupazione piu’ qualificata. I dati sui mutamenti della struttura dell’occupazione italiana relativi al 2004-2010, unitamente a quelli sulla dinamica degli investimenti in capitale fisso (beni strumentali durevoli come impianti, macchine, costruzioni, ecc.) relativi allo stesso periodo e proiettati al 2012 e 2013, offrono una convincente chiave di lettura delle cause dell’andamento sfavorevole dell’occupazione piu’ qualificata e motivi di timore per il futuro.
In particolare, evidenzia Almalaurea, l’evoluzione della quota di occupati nelle professioni piu’ qualificate evidenzia criticita’, di natura sia strutturale sia congiunturale, queste ultime particolarmente preoccupanti. Tra il 2004 e il 2008, quindi negli anni precedenti alla crisi, tranne che in una breve fase di crescita moderata, l’Italia ha fatto segnare una riduzione della quota di occupati nelle professioni ad alta specializzazione, in controtendenza rispetto al complesso dei paesi dell’Unione Europea. Un’asimmetria di comportamento che si e’ accentuata nel corso della crisi: mentre al contrarsi dell’occupazione, negli altri paesi e’ cresciuta la quota di occupati ad alta qualificazione, nel nostro paese e’ avvenuto il contrario.
”Sarebbe un errore imperdonabile – ha sottolineato il direttore di Almalaurea Andrea Cammelli- sottovalutare o tardare ad affrontare in modo deciso le questioni della condizione giovanile e della valorizzazione del capitale umano; non facendosi carico di quanti, anche al termine di lunghi, faticosi e costosi processi formativi, affrontano crescenti difficolta’ ad affacciarsi sul mercato del lavoro, a conquistare la propria autonomia, a progettare il proprio futuro. Tanto piu’ in Italia, dove costituiscono una risorsa scarsa anche nel confronto con i paesi piu’ avanzati, i giovani sono per di piu’ in difficolta’ a diventare protagonisti del necessario ricambio generazionale per il crescente invecchiamento della popolazione e per l’inamovibilita’ di tante gerontocrazie”.
In Italia infatti si contano ancora pochi laureati: nel nostro Paese i giovani sono pochi e per di piu’ poco scolarizzati. Ancor oggi il confronto con i paesi piu’ avanzati ci vede in ritardo: 20 laureati su cento di eta’ 25-34 contro la media dei paesi OECD pari a 37 (mentre in Germania sono 26 su cento, negli Stati Uniti 41, in Francia 43, nel Regno Unito 45, in Giappone 56). Il nostro – segnala Almalaurea – è un ritardo dalle radici antiche e profonde: nella popolazione di 55-64 anni sono laureati 10 italiani su cento, meta’ di quanti ne risultano nei paesi OECD (in Francia sono 18, in Germania 25, nel Regno Unito 29, negli USA 41) e che riguarda ovviamente, sia pure su valori diversi (ma in graduale miglioramento) anche imprenditori e dirigenti, pubblici e privati.
Anche sul terreno della scolarizzazione superiore nella popolazione adulta il Paese e’ in forte ritardo. Al punto che, ancora oggi, il 75% dei laureati di primo livello porta a casa un titolo di studio mancante a ciascuno dei genitori.
Nonostante poi i giovani con una preparazione universitaria costituiscano nel nostro Paese una quota modesta, risultano ancora poco appetibili per il mercato del lavoro interno. I piu’ recenti risultati dell’indagine Excelsior-Unioncamere sui fabbisogni occupazionali delle imprese italiane (che non comprende il settore della pubblica amministrazione) testimoniano il crescente peso relativo dei laureati sul complesso delle assunzioni previste.
Ma la consistenza della domanda di laureati, complessivamente pari a 74mila nel 2011 (il 12,5% di tutte le assunzioni previste) conferma la ridotta utilizzazione di personale con formazione universitaria. Negli USA, le piu’ recenti previsioni, elaborate per il decennio 2008-2018, stimano il fabbisogno di laureati pari al 31% del complesso delle nuove assunzioni.
Da evidenziare infine come sia ancora lontana la parita’ tra i sessi, anche tra i laureati. Il divario occupazionale tra laureati e laureate e le differenze retributive segnalano quanto ancora le donne, anche tra quelle piu’ istruite, siano penalizzate nel mercato del lavoro. Tra i laureati specialistici biennali, a un anno dalla laurea, il divario e’ di 7 punti percentuali: lavora il 61% degli uomini e il 54% delle donne. Gli uomini possono contare piu’ delle colleghe su un lavoro stabile (37% contro il 31%). Non solo. Gli uomini guadagnano il 29% in piu’ delle loro colleghe (1.231 euro contro 956 in termini nominale).
A tre anni dalla laurea le differenze di genere si confermano significative e pari a 7 punti percentuali: lavorano 71 donne e 78 uomini su cento. Anche a tre anni dal conseguimento del titolo il lavoro stabile e’ prerogativa tutta maschile: puo’ contare su un posto sicuro, infatti, il 66% degli occupati e il 49% delle occupate. I laureati specialistici del 2008 guadagnano il 28% in piu’ delle loro colleghe (1.432 contro 1.115 euro).