Fukushima, un anno dopo. Quando tsunami e terremoto devastarono il Giappone
A un anno dal disastro di Fukushima, che ha cambiato la storia del Giappone, la centrale nucleare è stata messa in sicurezza ma i problemi rimangono enormi e il ritorno alla normalità è un miraggio lontano.
Attorno alla centrale è ancora in vigore una zona di esclusione entro un raggio di 20 chilometri, abbandonata dai suoi 80mila abitanti. E l’intera area colpita rimane in ginocchio, con i lavori di decontaminazione che dureranno almeno fino a tutto il 2014, mentre in alcune aree la popolazione non potrà rientrare prima di cinque anni secondo le stime più ottimiste.
L’11 marzo dell’anno scorso, il disastro cominciò con una fortissima scossa di terremoto di magnitudo 9 che investì il nord est del Giappone. Il sisma provocò uno tsunami di proporzioni gigantesche che spazzò le coste: l’insieme di queste due catastrofi causò 15.800 morti nelle prefetture Iwate, Miyagi e Fukushima.
Molti corpi, portati via dal mare, non sono più stati ritrovati e i dispersi sono ancora 3.300. Il maremoto ricoprì anche la centrale Daiichi a Fukushima, provocando un blackout e la rottura del sistema di raffreddamento dei reattori che innescarono uno dei più gravi incidenti nucleari della storia mondiale, classificato al livello 7, lo stesso di quello di Cernobyl. Nei giorni successivi, si fuse il nocciolo di tre dei sei reattori della centrale, mentre si susseguivano i tentativi di raffreddamento, anche con acqua di mare.
Solo lo scorso 16 dicembre il governo giapponese ha potuto dichiarare la messa in sicurezza dell’intera centrale con il raggiungimento dello stato di blocco a freddo. Ci vorranno ora decenni per smantellare l’impianto, che nel frattempo dovrà essere mantenuto stabile. Intanto, in questi nove mesi, le particelle radioattive hanno inquinato l’aria, il terreno e le acque attorno all’impianto vicino al mare. Con la messa in sicurezza della centrale si è chiusa la fase dell’emergenza. E la successiva decontaminazione non si annuncia né facile, né breve.
A Fukushima, una città a 55 chilometri dalla centrale, squadre di operai rimuovono la superficie del terreno, quella più contaminata. Per ora la terra radioattiva viene portata in una località segreta di montagna, ma si tratta di una soluzione temporanea e molti abitanti di Fukushima temono che non sia sicura. In settembre il vice ministro dell’Ambiente Hideki Minamikawa aveva ipotizzato la necessità di stoccare 90 milioni di metri cubi di rifiuti radioattivi. Mentre ancora non sono stati chiariti l’entità dei risarcimenti ai sopravvissuti, rimane inoltre un forte interrogativo sull’agricoltura della zona.
Secondo un ultimo rapporto dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia Atomica, circa l’1% delle migliaia di analisi regolarmente effettuate sui prodotti alimentari giapponesi continua a mostrare valori superiori alla norma per il cesio 137. E molti genitori giapponesi, anche residenti lontano dalle zone contaminate, sono preoccupati per ciò che mangiano i loro figli, temendo che quantità anche basse di agenti radioattivi si accumulino nel loro organismo. L’anniversario sarà un’occasione per ricordare i morti, ma anche per riflettere su un evento che ha cambiato il modo di vedere dei giapponesi e portato l’opinione pubblica di tutto il mondo a ripensare ai rischi della scelta dell’energia nucleare. Svizzera e Germania hanno da allora deciso un progressivo abbandono delle centrali, mentre in Italia un nuovo referendum ha ribadito il no dell’elettorato alla scelta nucleare. In Giappone, dove la catastrofe ha portato ad un cambiamento di governo e ad un crollo della fiducia del pubblico verso le istituzioni, è stato abbandonato il progetto di costruzione di altre 14 centrali ed è stata chiusa la centrale di Hamaoka, a sud di Tokio, considerata ad alto rischio sismico.
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