Le pagelle di Cazzola: la riforma Fornero? Troppo rigida, non bonifica la precarietà e aumenta il costo del lavoro
Le misure proposte dal Governo per riformare i contratti di lavoro si caratterizzano per una rigidità inattesa, se si considera che in questi mesi era stato spesso sbandierato l’obiettivo di incentivare la flessibilità “buona” e, allo stesso tempo, scoraggiare l’utilizzo delle forme di lavoro maggiormente precarizzanti. In realtà il progetto non bonifica la precarietà, scoraggia ogni tipo di flessibilità sottoponendola ad un pregiudizio di illegittimità e imponendo ai datori l’inversione dell’onere della prova. Le proposte diffuse dal Governo prefigurano, infatti, una generale e indistinta azione di contrasto verso tutte quelle forme di lavoro diverse dal rapporto a tempo indeterminato, mediante l’introduzione di formalismi oggi mancanti o l’aumento del costo del lavoro.
Contratti a termine
Premesso che questa tipologia contrattuale è stata regolata sulla base di una direttiva UE rivolta a l’uso del contratto a termine, premesso altresì che tali contratti sono regolati dalla contrattazione nazionale come quelli a tempo indeterminato e che da noi la loro diffusione (pari al 12,8% del totale degli occupati) è assolutamente in linea con quanto accade nei paesi europei, quello che il documento propone in materia di contratto a termine è paradigmatico di questo approccio.
Il lavoro a termine, quindi, ha tutti gli elementi per essere considerato come una forma di flessibilità “buona”: ha una durata limitata (massimo 36 mesi), è soggetto a limiti quantitativi e garantisce l’applicazione di tutti gli istituti tipici del lavoro subordinato. Peraltro la materia era stata affrontata dal Governo Prodi, sulla base di quanto previsto dal Patto sul welfare con le parti sociali del 2007.
Il Governo trascura questi aspetti e ipotizza delle norme finalizzate apertamente a scoraggiare l’utilizzo di questo contratto. Innanzitutto, si propone l’aumento del costo del lavoro per chi utilizza lavoratori a termine, mediante un complicato meccanismo di bonus malus (un incremento contributivo dell’1,4% che viene restituito al momento della c.d. stabilizzazione) che finirà per indirizzare molte imprese verso l’utilizzo di altri contratti di lavoro, magari molto più precarizzanti. Inoltre, si propongono regole che finiscono per danneggiare i lavoratori, come l’aumento del periodo di intervallo tra un contratto a termine e l’altro.
Ancora più penalizzante è la regola che proporre in includere nel tetto di durata massima del contratto a termine anche i rapporti svolti nell’ambito della somministrazione di lavoro; questa disposizione si traduce, di fatto, in una compressione fortissima di due strumenti (contratto a termine, somministrazione) che invece andrebbero incentivati, in quanto garantiscono tutti i diritti del lavoro. Vengono poi allargati, sostanzialmente, i termini per impugnare tali contratti correggendo quanto in proposito era stato previsto nel.
Apprendistato
Premesso che in materia il precedente Governo aveva riformato l’istituto di intesa con le Regioni e le parti sociali (inclusa la Cgil), ancora più sorprendente è la parte sull’apprendistato. Il Governo ha più volte affermato la propria volontà di incentivare l’apprendistato come contratto di lavoro da utilizzare in maniera prevalente per l’accesso al lavoro. Questo obiettivo non trova rispondenza nel documento del Consiglio dei ministri, dove viene prevista l’introduzione di un limite oggi non esistente (l’obbligo di trasformare una percentuale di almeno il 50% degli apprendisti) come condizione per potersi avvalere in futuro di questa tipologia, la fissazione di un periodo di durata minima e l’impossibilità della cessazione prima della scadenza. Vengono poi posti dei limiti, di fatto, allo svolgimento della attività di formazione all’interno dell’azienda.
Part time
Analoghe perplessità suscitano la modifica proposta in materia di part time; si stabilisce di reintrodurre la comunicazione amministrativa per i casi di utilizzo delle clausole elastiche e flessibili, per quanto riguarda in particolare l’orario di lavoro, nonostante che questa tecnica si sia storicamente rivelata fallimentare (nessun abuso è stato mai prevenuto da un modulo). Si tenga presente che nei paesi in cui è più elevata l’occupazione femminile vi è anche un maggiore utilizzo del part time.
Collaborazioni e partite IVA
La scure del Governo si abbatte anche sulle tipologie contrattuali considerate più permeabili ad abusi e illeciti, le collaborazioni coordinate a progetto e le partite iva; paradossalmente, le misure dedicate a questi contratti, nonostante sia quelle più attese, sembrano meno efficaci di quelle destinate ai contratti di tipo subordinato.
Per il lavoro a progetto, si propongono alcune modifiche normative (l’eliminazione del programma di lavoro, la riduzione della facoltà di recesso libero) e l’aumento dei costi contributivi (di ben 6 punti entro il 2018), che già sono state sperimentate in questi anni con scarsi risultati. E’ appena il caso di far notare che questa operazione finanzia in gran parte la riforma degli ammortizzatori sociali senza riconoscere ricadute positive in termini di prestazioni ai cocopro, per il quali rimane in vigore solo la indennità una tantum, in caso di perdita del lavoro, istituita dal ministro Sacconi.
Inoltre, si prevede, in taluni casi, l’introduzione di una presunzione di subordinazione: questa misura è dibattuta da anni dai giuristi del lavoro, in quanto è sospettata di possibile incostituzionalità.
Anche con riferimento alle partite Iva, si propone di introdurre una presunzione di subordinazione, nel caso di rapporti che durano più di 6 mesi, se un singolo committente garantisce almeno il 75% dei corrispettivi. Si tratta di una misura draconiana che avrebbe un impatto del tutto irrazionale su migliaia di situazioni, che si svolgono nella più assoluta regolarità. Infine, si ipotizza di restringere l’utilizzabilità dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro ai soli casi in cui gli associati di lavoro siano solo famigliari, e di contenere l’utilizzabilità del lavoro accessorio, senza considerare che ha dato ottimi risultati in alcuni campi caratterizzati da grossa incidenza del lavoro nero.
L’effetto finale di queste misure è che la convenienza relativa tra i contratti flessibili sostenibili (apprendistato, termine, ecc.) e i contratti a rischio di precarietà (collaborazioni e partite iva irregolari) non cambia, mentre cresce la complessità e la rigidità complessiva del mercato del lavoro.
Hanno ammazzato la bilateralità, in quanto i contributi per i fondi interprofessionali vengono in parte dirottati per il finanziamento dei fondi di solidarietà.
Riforma dell’articolo 18
Si richiama l’attenzione sui licenziamenti per motivi disciplinari, per i quali dovrebbe valere la soluzione tedesca (spetta al giudice a scegliere se applicare la reintegra o l’indennizzo). In realtà i margini di autonomia del giudice sono molto limitati, perché è la norma stessa a prevedere i casi (assolutamente prevalenti) in cui deve applicare la reintegra rispetto a quelli (in particolare a fronte di vizi di forma) in cui può applicare l’indennizzo.
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