Lega, la famiglia Bossi indagata per truffa allo Stato. Maroni difende il senatur: Certo della sua buona fede
I magistrati milanesi che conducono l’inchiesta sui conti della Lega hanno indagato Umberto Bossi. Secondo gli inquirenti, il Senatur, come legale rappresentante del partito, risponde di truffa ai danni dello Stato in concorso con l’ex tesoriere Francesco Belsito per la presunta gestione illecita fatta dei rimborsi elettorali pari a 18 mln arrivati al Carroccio nel 2011.
A determinare la decisione degli inquirenti sono state anche le dichiarazioni di Nadia Dagrada, dirigente amministrativo della Lega, la quale a verbale ha dichiarato che Umberto Bossi era la persona che firmava i bilanci e i rendiconti della Lega.
Gli inquirenti milanesi sono convinti che il Senatur era consapevole delle uscite di cassa a favore dei figli Riccardo e Renzo. Per i magistrati, infatti, ci sono elementi che portano alla consapevolezza della gestione dei soldi del partito da parte di Bossi. Per di più a parlarne sono stati sia Belsito sia Dagrada.
Inoltre, in una lettera di richiesta fondi a Belsito Riccardo Bossi scrive: ”Ne ho parlato oggi con papà”. L’appunto, che emerge dagli atti dell’inchiesta, è stato trovato nella cassaforte che l’ex tesoriere padano aveva a Roma.
Sotto inchiesta, oltre al Senatur, anche i figli, Riccardo e Renzo Bossi, e Piergiorgio Stiffoni. A Renzo non è stato consegnato l’avviso di garanzia perché si trova in vacanza in Marocco.
Riccardo e Renzo, indagati in concorso con Belsito, rispondono di appropriazione indebita. Ai figli di Bossi, inoltre, gli inquirenti contestano l’aggravante di rilevante entità facendo riferimento all’ammontare delle somme che, secondo i magistrati, sarebbero state distratte dalla contabilità del partito.
Dall’inchiesta emerge anche un pagamento di circa 5 mila euro al mese, più le spese, per Riccardo e Renzo. Secondo i risultati delle analisi dei rendiconti che vanno dal 2008 al 2011 all’esame dei consulenti tecnici della Procura, i due figli di Bossi avrebbero beneficiato di una paghetta personale che fuoriusciva dalle casse del partito.
Stiffoni risponde di peculato in relazione all’uso dei fondi del Carroccio. La sua posizione sarà trasmessa per competenza alla Procura di Roma. In particolare il senatore è accusato di avere distratto per uso personale i fondi ricevuti del gruppo parlamentare.
Stando a quanto si apprende, contro Stiffoni non ci sarebbero soltanto documenti ma anche le parole di Federico Bricolo. Il capogruppo al Senato della Lega, nelle settimane scorse, avrebbe dichiarato agli inquirenti che i conti del gruppo parlamentare ‘non tornavano’.
Sotto inchiesta c’è anche l’imprenditore Paolo Scala, già indagato per appropriazione indebita, oggi iscritto per l’accusa di riciclaggio.
Le posizioni di Rosi Mauro e della moglie di Umberto Bossi, Emanuela Marrone, entrambe non indagate, sono ora al vaglio degli inquirenti milanesi. In particolare i magistrati cercano di fare luce sulle ‘uscite’ effettuate a favore del Sinpa e della scuola Bosina. In una telefonata intercettata, gli interlocutori fanno riferimento ad una somma di 300mila euro ‘parcheggiata’ in contanti per la scuola.
Umberto Bossi si trovava questa mattina nella sede del Carroccio in via Bellerio. Era presente anche l’europarlamentare Matteo Salvini che, commentando la notizia dell’indagine, ha sottolineato come il Senatur ”tutto abbia fatto fuorché arricchirsi e questo lo sa bene chi conosce Bossi e ne conosce lo stile”.
“Il fatto che a quattro giorni dai ballottaggi si continui a buttar fango sulla Lega mentre l’economia crolla, lo spread schizza e i mercati affondano, bè fa inevitabilmente venire qualche dubbio”, ha detto Salvini all’Adnkronos. “Chi ha sbagliato in Lega ha già pagato”, ha aggiunto.
A prendere nettamente le difese del Senatur è anche Roberto Maroni: “Conosco Bossi da una vita e sono ultra certo della sua totale buona fede. Sono molto rattristato per lui. L’ho sentito oggi ed era molto giù”. Comunque, spiega l’ex ministro dell’Interno a un comizio a Senago (Mi), “mi pare di capire che sia indagato per aver firmato il bilancio o il rendiconto e quindi si è fidato di ciò che gli sottoponeva qualcun altro per la firma”. “Questo è quello che ho capito – ha spiegato Maroni – e se è così è un atto dovuto. E’ la conseguenza di tutto quello che è successo negli ultimi tempi, degli accertamenti che sono stati fatti. In ogni caso confidiamo nell’azione della magistratura perché tutto si svolga in tempi rapidi e accerti le responsabilità. Però nel suo caso, e non parlo degli altri, mi pare di poter dire che sia una responsabilità che deriva da un atto formale, da una firma messa sotto ad un documento”.
Per il sindaco di Verona, Flavio Tosi, Bossi ha ”firmato in assoluta buona fede i documenti che gli sono stati sottoposti da Belsito” e la responsabilità di tutti quegli episodi è invece ”da ascriversi non a lui personalmente ma a chi gli stava vicino e si è approfittato di lui”.
Giuseppe Leoni, cofondatore del Carroccio, osserva come l’avviso di garanzia a Umberto Bossi sia “un atto dovuto, viste le indagini delle ultime settimane”. ”Ho visto l’Umberto sabato scorso, se lo aspettava – aggiunge -, erano queste le voci che giravano, ma era sereno, per niente preoccupato”.
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