Caso Perugina, “tengo famiglia”: lo scambio padre e figlio del posto di lavoro in cambio del part-time? Un vecchio diritto ereditario sbagliato e corporativo
(di Giuliano Cazzola). Esiste una ricca letteratura ”virtuosa” che incoraggia la “staffetta”, attraverso rapporti a part time o di lavoro ripartito, tra lavoratori anziani, ormai prossimi alla pensione o già pensionati, e giovani alle prima armi. Si parla a questo proposito di pensionamento progressivo, se uno dei due è già pensionato. Ed è il caso più frequente, almeno in teoria, perché la persona in quiescenza potrebbe percepire interamente il suo assegno previdenziale e suddividere lo stipendio con il giovane neoassunto a cui faciliterebbe, attraverso la sua esperienza, l’inserimento nella posizione lavorativa. Peraltro, sempre in teoria (perché di <buone pratiche>, in materia, ne esistono poche), tale problematica si coniuga con l’esigenza di prolungare la permanenza al lavoro degli anziani senza frapporre proibitivi ostacoli all’ingresso dei giovani e introducendo nell’organizzazione del lavoro metodi che siano rispettosi della duplice esigenza di trattenere più a lungo al lavoro quanti hanno già una età matura, ma consentendo loro di effettuare una prestazione adeguata alle loro condizioni psico-fisiche. Ed evitando loro, per di più, il trauma di passare nel giro di un breve lasso di tempo da una vita molto attiva ad una disimpegnata.
Con l’introduzione, dal 2012, del calcolo contributivo pro rata per tutti i lavoratori, il principio che abbiamo chiamato della <staffetta> potrebbe fare comodo non solo alla coppia pensionato/giovane, ma anche al sodalizio tra un lavoratore in procinto di andare in pensione e un giovane neo-assunto. Prima, chi poteva contare sul calcolo retributivo non aveva interesse ad abbassare negli ultimi anni la propria retribuzione pensionabile. Abbiamo detto che queste <buone pratiche> sono molto teoriche. Infatti, da quando è stato abolito del tutto il cumulo tra pensione e retribuzione, i lavoratori (d’accordo con il datore) preferiscono andare in quiescenza e magari continuare a lavorare nel medesimo posto con un rapporto di collaborazione, senza avere il problema di addestrare un giovane. Per rendere concreto il progetto sono necessarie adeguate politiche pubbliche (magari con incentivi sul piano contributivo in primo luogo) e precise iniziative sul terreno della contrattazione collettiva. Di certo, però, non si iscrivono nelle suddette <buone pratiche> le intese intervenute alla Nestlè-Perugina, nelle scorse settimane.
E’ umanamente comprensibile che dei lavoratori, in una fase di grande incertezza sul futuro e in un contesto di diffusa disoccupazione giovanile, si preoccupino di tutelare i propri figli, ma la staffetta, nel posto di lavoro, tra padre e figlio (in realtà si tratta di lavoro ripartito) è soltanto un’azione discutibile, per la sua natura familistica-corporativa e per il carattere discriminatorio che sottende nei confronti di altri giovani. E’ singolare che un’azienda multinazionale si presti ad introdurre nella contrattazione collettiva esperienze di diritto ereditario spurio fino ad ora operanti nelle grandi imprese pubbliche (vi sono, alle Poste, pratiche di assunzioni di figli come corrispettivo per tanti <esodati>) o in altre realtà connotate dalle più intense forme di concertazione spartitoria. Il fatto che l’accordo in parola sia entrato ed uscito dal perimetro mediatico come una meteora è molto significativo di un Paese che si scandalizza su ordinazione e per compartimenti stagni. E che soprattutto non rinuncia a <tenere famiglia>.
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