Mangiare attorno al Palazzo in tempo di crisi
Prima (bei tempi, eh?) c’erano le lamelle di spigola con radicchio e mandorle a euro 3,34; il risotto con fiori di zucca e rombo (stesso prezzo), e il pesce spada alla griglia a 3,55. E i giochi erano fatti. Con uno scrannetto a Palazzo Madama, e comunque un ticket d’ingresso per la molto onorevole mensa del Senato, te la cavavi così: pranzo di pesce – tre portate – a meno di 11 euro. E alla Camera, per non essere da meno, ci si muoveva in linea, appena un po’ più su: 5,30 il carrè di agnello al forno, idem il risotto ai gamberi e Pachino, da 4,60 a porzione il mutevole “pesce del giorno”. Adesso che la crisi – e l’esplosione di mugugni e rabbia attorno ai privilegi della “casta” – ha rimescolato le carte, e l’avvicendamento al governo ha dato la smazzata più poderosa che si vedesse da anni, le cose neanche là stanno più così. Prezzi “quasi” normali anche per gli “eletti dal popolo” (ma scelti dai partiti in assenza di preferenze sulla scheda) nelle rispettive mense parlamentari. Con conseguente ulteriore aumento di probabilità di vederli sciamare, negli orari deputati, in zona Palazzi in cerca di un crudo di mare, un’insalata rinforzata, una bistecca, un calice di vino…
La geografia elettiva del politico a tavola era peraltro già abbastanza chiara anche prima della rivoluzione soft del prezzo della spigola a Montecitorio. Chi volesse, o voglia tuffarsi nel film: “L’Onorevole sforchetta” non ha che da varcare la soglia di “Fortunato al Pantheon”, il ristorante che da lustri fa da casa a vice ministri variamente accompagnati e a tris di sottocapi-corrente impegnati a stilare la road map dell’assalto al controllo del partito, a transfughi frenetici da un gruppo all’altro (cresciuti molto, anche di appetito, nell’ultimo anno) ansiosi di spiegare a tavola il perché, e a sdegnosi “resistenti”, altrettanto smaniosi di rivendicare la scelta. Tutti avvolti e conditi da una robusta maionese di cronisti specializzati, convocati per un’intervista-lunch o seduti con aria vaga a uno dei tavoli adiacenti, l’orecchio teso a carpire un brandello di conversazione interessante, e l’occhio spalancato a verificare chi mangia con chi, e a ipotizzare cosa avranno da dirsi. Il menu è, manco a dirlo, assolutamente bipartisan: dalla pseudo leggera mozzarella di bufala per “finti” salutisti (la mozzarella è tostarella da digerire, altro che storie!) a canonici primi e secondi (c’è carne e pesce), e una batteria di vini assortita per esigenze di varia altezza e spessore, incluse punte da (costoso) festeggiamento.
Quello da Fortunato è, insomma, un (pur curato, e certo non popolarissimo quanto a prezzi) pranzo di lavoro. Chi volesse abbandonarsi davvero ai piaceri della tavola in zona Parlamento, il (diciamo così) politic-gourmet, punti perciò deciso un altro “al Pantheon”, quello targato “Armando”. Qui dieci metri di salita e qualche refolo odoroso dalla cucina tracimante in sala (e sui gessati degli “on.” più golosi) vengono ampiamente compensati dal gusto romanamente pieno dei piatti dello chef Claudio Gargioli: divisa nera, fornelli a vista, ghirigori di fantasia disegnati su un canovaccio assolutamente territoriale, conosciuto ed eseguito a menadito.
Se siete di quelli che al lunch faticano un po’, e spizzicano, più che mangiare; o se l’orario canonico è già passato, non disperate. Ci si può nutrire attorno ai luoghi dove si decidono leggi e destini collettivi anche in modo piacevolmente light. Il gelato, ad esempio, che il clima di Roma aiuta a rendere gradevole alternativa o succedaneo al pasto regolare: specie se è di qualità, e di gran sapore. L’area dei Palazzi offre in questo senso un’intrigante alternativa: c’è la succursale (una delle…) di San Crispino, ormai storica label gelatiera capitolina di alta classe, moltiplicatasi dopo il meritato, travolgente successo (ha stampa e fama in mezzo mondo, i turisti arrivano con gli indirizzi segnati sul carnet di vacanza romana) del primo negozio di via Acaia; e c’è da qualche tempo anche Grom, prodotto in franchising di una scintillante idea di gastro-marketing (gelato da materie prime di qualità) di una coppia di giovani imprenditori piemontesi, e che ha seminato insegne in Italia e all’estero.
Un calice di vino, per fare aperitivo, o per dimenticare la non brillante situazione del Paese, e la catena rovinosa che a tanto lo ha sospinto? C’è: la piccolissima, ma fornita oltre ogni sospetto, Vinoteca 900 è il posto giusto: per un bicchiere, una grande bottiglia (ha perle incredibili nascoste in scaffale) e uno stuzzico d’accompagno.
Infine, epilogo obbligato. Un caffè, per digerire il mattone della giornata nel cuore del potere, è indispensabile. E qui, non tirate al ribasso. Puntate il meglio. Ovvero Sant’Eustachio, meravigliosa caffetteria dove – esclusiva vera – ogni chicco viene scelto nel campo dal team che gestisce il locale (è Roberto, il più giovane dei fratelli-gestori, lo scout nelle piantagioni di mezzo mondo) e torrefatto, come un tempo, con cadenza settimanale, nel retrobottega del negozio. Non mancate, se non l’avete mai preso, il loro “gran caffè”, sontuosa doppia porzione dall’unico rischio: l’assuefazione…
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