Berlusconi: Non mi candido a premier. E rilancia Monti. “Ora facciamo le primarie”
”Per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge. Diciotto anni fa sono entrato in campo, una follia non priva di saggezza: ora preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora”. Silvio Berlusconi annuncia così, in una lunga lettera la sua decisione di non ricandidarsi a Palazzo Chigi e di sostenere Monti quale candidato di una coalizione di moderati.
”Non ripresenterò la mia candidatura a premier – scrive – ma rimango a fianco dei più giovani che debbono giocare e fare gol. Ho ancora buoni muscoli e un po’ di testa, ma quel che mi spetta è dare consigli, offrire memoria, raccontare e giudicare senza intrusività”.
Quindi, annuncia: ”Con elezioni primarie aperte nel Pdl, sapremo entro dicembre chi sarà il mio successore, dopo una competizione serena e libera tra personalità diverse e idee diverse cementate da valori comuni”. Il voto sarà fissato ”a breve” e il Cavaliere suggerisce di celebrare le consultazioni il prossimo 16 dicembre.
Secondo Berlusconi ”la continuità con lo sforzo riformatore cominciato diciotto anni fa è in pericolo serio. Una coalizione di sinistra che vuole tornare indietro alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l’esplosione del Paese corporativo e pigro che conosciamo, chiede di governare con uno stuolo di professionisti di partito educati e formati nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento”. “Sta al Popolo della libertà – sollecita il Cavaliere – , al segretario Angelino Alfano, e a una generazione giovane che riproduca il miracolo del 1994, dare una seria e impegnativa battaglia per fermare questa deriva”.
Quindi, prosegue l’ex premier, ”sono personalmente fiero e cosciente dei limiti della mia opera e dell’opera collettiva che abbiamo intrapreso, per avere realizzato la riforma delle riforme rendendo viva, palpitante ed emozionante la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini. Questo non poteva che avere un prezzo, la deriva verso ideologismi e sentimenti di avversione personale, verso denigrazioni e delegittimazioni faziose che non hanno fatto il bene dell’Italia”.
”Siamo stati chiamati spregiativamente populisti e antipolitici della prima ora. Siamo stati in effetti – rivendica – sostenitori di un’idea di alternanza alla guida dello Stato sostenuta dal voto popolare conquistato con la persuasione che crea consenso. Abbiamo costruito un’Italia in cui non si regna per virtù lobbistica e mediatica o per aver vinto un concorso in magistratura o nella pubblica amministrazione”. ”Questa riforma ‘populista’ – sostiene – è la più importante nella storia dei centocinquant’anni dell’unità del Paese, ci ha fatto uscire da uno stato di sudditanza alla politica dei partiti e delle nomenclature immutabili e ha creato le premesse per una nuova fiducia nella Repubblica”.
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