Venezia a Carnevale, mangiar bene non è uno scherzo
Si parte il 4 febbraio. Un,due, tre: Carnevale. E Carnevale, si sa, a Venezia è di più. E’ lì che la festa ha più che mai casa. Festa colta, oltre che grande: mix di kermesse di strada e di piazza (anzi, di calle e campiello) e grande teatro, radici profonde di storia e tradizione rinnovata, con il rilancio e il nuovo corso della manifestazione iniziato più o meno trent’anni fa. Ma, attenzione: Carnevale o no, mangiar bene a Venezia non è mai uno scherzo. Generosa come poche città al mondo quanto a bellezza e suggestioni uniche, arte ed emozioni, Venezia diventa improvvisamente avarissima, specie con chi non la conosce a fondo, specie con i turisti meno accorti e provveduti, sotto il profilo della gola. Avara ed esosa, perché in linea con il target di visitatore presunto (e oggi solo in parte corrispondente allo skill reale), la ristorazione veneziana, pur mediamente mediocre, tende nel complesso ad applicare, al momento del conto, categorie da eccellenza pura, e una sorta di sovrattassa… sul contesto scenico. E’ poi anche capitato negli ultimi due anni che qualcuna delle tavole (e soprattutto relativi chef) che avevano in parte invertito la tendenza abbia ammainato bandiera. Per tutti, Corrado Fasolato (www.corradofasolato.com) che aveva fatto della cucina del Met un’isola di gusto e di divertimento.
Per fortuna però, anche sul fronte dei “più” (e non solo su quello dei “meno”) c’è qualcosa da registrare: primo fra tutti lo sbarco in città degli Alajmo (www.alajmo.it), la famiglia gastronomicamente illustrissima che ha la sua roccaforte nel tristellato Le Calandre (www.calandre.com) a Padova, e che al ristorante principe – ai cui fornelli presiede il rafffinatissimo Massimiliano, già enfant prodige della cucina italiana e oggi realtà di quella mondiale – avevano già affiancato l’emporio-bistrot gourmet Il Calandrino e un altro locale di successo (La Montecchia, a Montecchia di Crosara). Ora la Alajmo band suona la sua intonatissima sinfonia di sapori anche in piazza San Marco, rilevata la conduzione dello storico (fine ‘7’00) Caffè Quadri (www.caffequadri.it), la cui cucina, supervisionata da Massimiliano Alajmo, “mente” dei menu, è materialmente affidata ai luogotenenti Silvio Giavedoni e Dennis Mattiuzzi. Uno spiraglio, anzi un raggio di luce golosa in una delle piazze più belle e, insieme, fino a ieri, irritanti del mondo sotto quel profilo. Un piacere che include anche la prima colazione: il Max Breakfast, 32 euro, firmato dal super chef, è… assai meglio di un mucchio di pranzi possibili in giro.
Altra meta che sa di novità consolidata è Venissa (www.venissa.it): parto di un dinamicissimo produttore di vino dell’area del Prosecco, Gianluca Bisol (www.bisol.it). Figlio di un progetto incentrato proprio sul vino, cioè la riscoperta di viti antiche nel contesto incredibile di una delle isolette della Laguna – e all’interno di un “clos”, come direbbero i francesi, cioè una vigna murata dal fascino straordinario – dalla fantasia creativa e imprenditoriale di Bisol ha preso forma un complesso che comprende ostello e splendido ristorante, affidato alle mani deliziose di Paola Budel, cuoca ancor giovane ma di lungo e glorioso corso professionale (allieva, tra l’altro di Gualtiero Marchesi e Michel Roux) diviso tra Europa e Usa. La sua cucina però potrà godersela solo chi farà una “lunga” vacanza carnevalizia, estendendola fino iai primi riti di primavera. Chiuso per sosta invernale, Venissa ristorante riaprirà battenti tra un mese circa, proprio quando sarà in piena tournée il primo vino prodotto dalle antiche vigne: il “Vino di Venissa”, appunto.
Il terzo faro gastronomico veneziano, in via di progressiva consacrazione, si chiama Il Ridotto. Il suo patron Gianni Bonaccorsi, ha giocato con arguzia la doppia carta del bistrot e della tavola goumande. Il primo si chiama Aciugheta, fa quella che il bravissimo critico Enzo Vizzari, sire delle Guide de L’Espresso, ha definito sagacemente una “dignitosa cucina da battaglia”, peraltro da non trascurare per una piacevole sopravvivenza quotidiana. A un passo (e pochi salti da San Marco) Il Ridotto gioca invece laicamente, ma molto più alto, tra terra e mare: ora con piatti di ricercata povertà, ora con costruzioni più dichiaratamente (e ambiziosamente) complesse.
Chiaro che “mangiare” Venezia, specie durante il Carnevale, non può essere però solo un affare di grandi tavole raffinate. I “cicheti”, cioè l’assaggino misto coniugato in mille declinazioni, versione lagunare delle “tapas” che accompagna l’ “ombreta”, il bicchiere di vino che fa da aperitivo e da corroborante alla festa (tranquilli, a Venezia non si guida… niente rischi per la patente) è un must e una gioia. Specie in posti come La Mascareta (insegna quanto mai appropriata al periodo) a suo tempo creata e diretta da Mauro Lorenzon (www.ostemaurolorenzon.it), oste ed enotecario celebre, già fondatore della innovativa catena delle Enoiteche. Alternativa? La Cantina di Vini già Schiavi in Dorsoduro, erede degna dei “veri” bacari, le osterie delle calli d’un tempo, a fianco dei doverosi calici offre sfizi speciali (crostini in primis). Maenza tavoli o sedie: tutti al banco, e via così.
Si gioca invece con il mare (crudi in primis) ma a prezzi venezianamente tollerabili al Fontego dei Pescatori (www.alfontego.com). E siccome ogni tanto, come da tutte le amanti indimenticabili ed esigti, anche da Venezia bisogna prendere un attimo le distanze, se il vostro punto d’appoggio (o di partenza e arrivo in auto o in treno) è il nodo di Mestre, lì non trascurate A Scuea (www.ristoranteascuea.com), background giusto di materia prima locale, trasformazioni fini ma non pretenziose, e vini giusti (con ricarichi umani: altra piccola rarità, in una zona che da questo punto di vista davvero non soffre di timidezza).
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