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Sono 1500 le aziende tolte alla mafia ma restano in stato vegetativo

Serrande abbassate, macchinari ricoperti di polvere, faldoni di carte caduti a terra e mai raccolti. Sono 1.516 le aziende confiscate alla mafia. Di queste, però, solo 176 sono attive, poco più dell’11%. L’89% è in ‘stato vegetativo’, ha chiuso i battenti o rischia di farlo a stretto giro. I numeri aggiornati al gennaio 2012, forniti  dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc), fotografano una realtà ferma: migliaia di potenziali posti di lavoro impaludati nei lacci e nei lacciuoli di un sistema che fatica a rimettersi in carreggiata dopo essere uscito dal tunnel della criminalità organizzata. Delle 460 aziende ormai fuori dalla gestione della Anbsc solo 45 sono state vendute, ben 273 sono state cancellate dal Rea, 128 liquidate e 14 hanno ottenuto la revoca della confisca. Ci sono poi altre trecentosettantadue società, precisano dall’Agenzia, la cui situazione è in corso di aggiornamento, ovvero si sta lavorando per valutarne lo stato. La distribuzione geografica vede primeggiare la Sicilia, dove risiede il 37% delle aziende sottratte alla mafia, seguono Campania e Calabria, ma anche la Lombardia figura tra le prime della lista. Ristoranti, bar, imprese edili, palestre, aziende di informatica e di servizi tra le tante attività finite sotto sigillo. Nate come aziende di copertura, in gran parte utilizzate per riciclare denaro sporco e confiscate “spesso quando sono ormai scatole nuove – spiegano dall’Agenzia -. Senza contare che, una volta scattati i sigilli, vengono a mancare le commesse e le banche chiudono i rubinetti”. E anche su questo punto i numeri parlano chiaro. “Il 60% dei beni ancora da destinare ai Comuni è bloccato, inutilizzabile perché strozzato da ipoteche bancarie”, spiega all’Adnkronos Davide Pati, responsabile nazionale ‘Libera’ per i beni confiscati alle mafie.
I numeri dell’Anbsc “certificano il fallimento dello Stato – secondo Pati – e sostenerlo non è un’esagerazione. Spesso queste società, quando erano in mano alla mafia, alla ‘ndrangheta, alla camorra, alla sacra corona unita, inquinavano l’economia locale influenzando il mercato: se non si crea una rete per farle sopravvivere, per trainarle sul binario della legalità, si lasciano vincere le mafie. E’ una sfida che non possiamo perdere”. Sulle aziende confiscate “bisogna investire – rimarca il responsabile di ‘Libera‘ – mentre non ci sono fondi pubblici per aiutare le cooperative a ripartire o per farne nascere di nuove dalla gestione dei beni confiscati. Anche per questo noi chiediamo al governo Monti, che ha finora mostrato grande sensibilità, di devolvere parte delle risorse che vengono sottratte ai mafiosi e che confluiscono nel Fondo unico giustizia, nonché parte delle risorse che provengono dai fondi europei regionali, ai progetti per supportare le cooperative nate o da avviare e non perdere potenziali posti di lavoro, tanto più preziosi in tempo di crisi”. Tanto più considerando che ,”con il passaggio dalla gestione mafiosa a quella lecita – spiega all’Adnkronos Gaetano Paci, magistrato della direzione Distrettuale antimafia e sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Palermo – queste aziende perdono il sostegno, anche di natura illecita, che ne consentiva la sopravvivenza e l’accesso al credito, bancario e non”. “E se le banche smettono di concedere mutui e finanziamenti – rimarca Pati, il responsabile di ‘Libera’ – finiscono per tagliare le gambe alle imprese confiscate: bisogna intervenire per agevolare l’accesso al credito, questa deve essere una priorità”.
“La fiducia nell’esecutivo Monti c’è – assicura il responsabile di ‘Libera’ – anche se nel dl Semplificazioni approvato dal Cdm c’è una svista, un errore sui beni confiscati alla malavita”. Il provvedimento, in un passaggio, prevede infatti che ‘i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata che hanno caratteristiche tali da consentirne un uso agevole per scopi turistici possano essere dati in concessione a cooperative di giovani di eta’ non superiore a 35 anni’. “Ma per tali beni – spiega Pati – viene previsto il pagamento di un affitto, mentre la legge vigente prevede il comodato d’uso gratuito. Insomma, i beni vengono concessi ai giovani a titolo oneroso. L’articolo entra in contraddizione con quanto previsto dal codice antimafia e ormai da sedici anni di applicazione della legge 109/96″. Un passo indietro, dunque, in una misura che non convince nemmeno il sostituto procuratore di Palermo. “Difficile individuare beni a scopo turistici – dice – è un’indicazione, quella contenuta nel provvedimento, che non trova riscontro nella realta’: di aziende cosi’ non ce ne sono”. Per questo, “cosi’ com’e’ stata fatta, rischia di restare una norma ‘slogan’ e nient’altro”.