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Melfi, Fiat ai tre operai reintegrati: Restate a casa al momento non ci servite

All’indomani della decisione della Corte d’Appello di Potenza che ha stabilito il reintegro dei 3 operai dello stabilimento Fiat di Melfi, che erano stati licenziati dall’azienda perché ritenuti responsabili di aver bloccato un carrello durante una manifestazione, la Fiat ha inviato ai tre un telegramma in cui comunica di “non ritenere necessario, allo stato attuale, di avvalersi della prestazione lavorativa”. I tre operai pertanto resteranno a casa anche se con regolare stipendio. Già ieri il Lingotto aveva annunciato che ricorrerà in Cassazione contro la sentenza d’appello.
La Corte d’Appello di Potenza aveva accolto il ricorso della Fiom, condannando la Fiat per comportamento antisindacale e ordinando il reintegro sul posto di lavoro di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli alla Sata di Melfi. E’ quanto annuncia la Fiom. “Abbiamo vinto”, esultano i metalmeccanici della Cgil.
Il lungo braccio di ferro con il Lingotto iniziò l’estate del 2010 quando Fiat licenziò i tre lavoratori accusandoli di aver sabotato la produzione durante uno sciopero. I tre presentarono ricorso ed il giudice ordinò alla Fiat di reintegrarli sul posto di lavoro. Ma il Lingotto preferì ‘non avvalersi della loro prestazione’ continuando a pagargli il salario ma tenendoli fuori dallo stabilimento.
No comment del Lingotto alla sentenza. “Seguendo la linea già tenuta nei precedenti gradi di giudizio – spiega in una nota il Lingotto – la Fiat non intende rilasciare alcun commento sulla sentenza contro la quale presenterà ricorso in Cassazione. L’azienda comunque – prosegue la nota – tiene a sottolineare che considera inaccettabili comportamenti come quelli tenuti dai tre lavoratori e che proseguirà le azioni per impedire che simili condotte si ripetano”.
La Fiom invece, commenta il leader Maurizio Landini, ”esprime la sua più profonda soddisfazione per la sentenza, soprattutto alla luce dei gravi atti di discriminazione contro i nostri iscritti e i nostri delegati che si stanno verificando in tutti gli stabilimenti Fiat”. E “visto l’uso strumentale e la denigrazione a mezzo stampa avanzata in questi mesi verso i tre lavoratori iscritti e delegati della Fiom, valuteremo insieme a loro se richiedere i danni morali”, annuncia Landini, sottolineando che “il licenziamento dei tre lavoratori di Melfi del luglio 2010 è stato il primo gravissimo attacco al diritto di sciopero, alla dignità e alle libertà di chi lavora condotto nell’ambito del nuovo modello Marchionne”.
Per Giorgio Cremaschi, della Fiom, il reintegro ”è un grande atto di giustizia che mostra il valore dell’articolo 18. Ecco perché lo si vuole cancellare e perché, invece, lo difenderemo con le unghie e con i denti”.
Si tratta di “una sentenza che, oltre a fare giustizia nei confronti di licenziamenti assurdi, dimostra come la Fiat abbia i suoi torti e non sia infallibile nelle sue decisioni” sottolinea il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere.
Si susseguono anche le reazioni politiche. ”I tre operai di Melfi che hanno vinto il ricorso contro la Fiat non volevano andare in Paradiso ma solo lavorare – afferma Rosy Bindi – La sentenza di oggi restituisce verità e dignità alla loro storia e dimostra che le norme anti-discriminatorie sui luoghi di lavoro sono un elemento di civiltà, al quale non possiamo rinunciare”.
“Oggi è un bel giorno per Giovanni, Antonio, Marco e anche per noi – scrive su Twitter Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà – Anche alla Fiat Melfi è stato riconosciuto che il lavoro ha la sua dignità”.
Gli fa eco il vicecapodelegazione del Pd al parlamento europeo, Andrea Cozzolino: ”Per il mondo del lavoro oggi è una bella giornata. Quello che è avvenuto a Melfi deve essere un monito per tutte le altre realtà produttive”.
A commentare è anche Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista che saluta “con molta felicità” la sentenza. Ora “anche Marchionne – dice – che si comporta come il re di uno stato extraterritoriale, sarà obbligato a considerare i propri lavoratori delle persone e non delle merci, come prevede la Costituzione.