Il deficit di integrazione e il disturbo da buonismo

Tempo fa sono incappata in una puntata di South Park su cui si potrebbe scrivere un trattato. South Park, per chi non la conoscesse, è una serie televisiva satirica e decisamente politically incorrect. È cartone animato e i personaggi sono dei bambini di 8 anni che vivono in Colorado ma, sappiatelo, decisamente non è per bambini. È una serie serenamente volgare, a volte offensiva, sempre irriverente ma a tratti geniale. Se potete sopportare tanta scorrettezza e vi interessa il tema della disabilità e dell’integrazione vi consiglio di vedere la puntata “Timmy 2000″ (http://www.southparkstudios.com/full-episodes/s04e04-timmy-2000). Parla di diagnosi mancate, diagnosi affrettate e dannosi buonismi.

Timmy, un bambino con un’evidente disabilità fisica e intellettiva, viene portato dalla preside perché non risponde all’interrogazione e – secondo il maestro che non considera il suo ritardo – irride l’insegnante. Tramite un discutibile e comico test viene decretato che Timmy non si impegna sufficientemente a scuola perchè affetto da deficit di attenzione. Nella stessa puntata il disturbo dell’attenzione verrà diagnosticato a tutti gli alunni che, come conseguenza, saranno esonerati dai compiti e trattati con il metilfenidato (il famigerato Ritalin).
Due eccessi dunque: una diagnosi mancata (il ritardo) e molte diagnosi di troppo (il deficit di attenzione e iperattività).

Quando le diagnosi sono troppe …
La diagnosi di ADHD (Attention Deficit Hyperactive Disorder) tranquillizza le famiglie di South Park: finalmente si spiega perché i loro figli non riescono a prestare attenzione ai nonni quando narrano con dovizia di particolari le vicissitudini degli anni ’30 o perché corrono da tutte le parti come bambini di otto anni.
“Ma io ho otto anni mamma” ci illumina Cartman, mentre fa la fila per il Ritalin. Può capitare che i comportamenti di un bambino (figlio, alunno, paziente) ci preoccupino principalmente perchè si distaccano dalle nostre aspettative o perchè non appaiono gestibili. A volte quel bambino ha davvero un disagio, ma più spesso il problema è, o è anche, proprio in quelle aspettative (magari starate) e nella gestione (magari non adeguata). Dunque bisogna stare molto attenti a non confondere le differenze individuali e, soprattutto, le carenze del contesto, con disturbi e sindromi.
Il cuoco della scuola, preoccupato perchè i bambini, solitamente terribili, sotto Ritalin sono diventati degli educatissimi fan di Phil Collins, chiama a raccolta i genitori per proporgli in alternativa ai farmaci il metodo sviluppato da un emerito scienziato. Tale metodo modernissimo si riassume nella formula: due schiaffoni e vai a studiare. La proposta può far sobbalzare gli educatori più raffinati ma in fondo viene a ricordarci di non delegare ai farmaci quello che invece è compito di genitori, educatori e terapeuti.
I più disperati invece sappiano che la rappresentazione degli effetti del Metilfenidato è falsa, e dunque non si entusiasmassero. Per arrivare a Phil Collins sono necessarie droghe molto, molto più pesanti.

…E quando troppo poche.
Se a volte si diagnosticano disturbi dove invece spiccano solo legittime differenze individuali, altre volte invece – come Mr Garrison, l’insegnante di Timmy – gli esperti di età evolutiva (pediatri, neuropsichiatri, psicologi e insegnanti) rischiano di non prendere adeguatamente in considerazione fragilità e deficit specifici di cui invece bisognerebbe farsi carico. Identificare per tempo la difficoltà di un bambino non vuol dire etichettarlo, ma attivare percorsi ad hoc. Permette alle famiglie e ai bambini stessi di capire il motivo e le caratteristiche della difficoltà da loro sperimentata, in modo da non lasciarli in balia di colpevolizzazioni sbagliate e interventi non efficaci se non addirittura dannosi.
Per esempio i dislessici sono spesso (mal)trattati da svogliati, i ritardi nel linguaggio a volte vengono trascinati per anni, con bambini sempre più arrabbiati ed isolati perché non riescono a farsi capire, rischiando per giunta un impoverimento progressivo. L’ADHD – quello vero – può mettere in seria difficoltà lo sviluppo di un bambino e dunque prima si diagnostica (correttamente), prima si indirizzano famiglia e scuola nella direzione più utile, riducendo il rischio che si sviluppino disturbi del comportamento o dell’umore in conseguenza al deficit; in alcuni casi i farmaci possono rivelarsi effettivamente molto utili, sempre in aggiunta alle consulenze psicopedagogiche ai genitori e alla scuola, fondamentali per migliorare la prognosi.
Numerose tuttavia sono le diagnosi tardive, che arrivano quando la potenzialità dei cambiamenti possibili si è ridotta di molto: affermando un “crescerà” si è magari rassicurato un genitore ansioso, ma alla fine si è trascurato un bambino bisognoso.

L’integrazione, invece, non è mai troppa.
Solo apparentemente è un obiettivo peculiare degli alunni in difficoltà, in realtà l’integrazione riguarda tutti, perchè i bambini sono tutti diversi, e ognuno necessita di attenzioni specifiche affinchè possa valorizzare la sua identità. Vivaci e iperattivi, sensibili e depressi, lenti e disabili, per tutti il contesto farà la differenza e il sistema che li accoglie (familiare, scolastico e terapeutico) rappresenterà una variabile cruciale per lo sviluppo. Ognuno è chiamato a svolgere il proprio ruolo specifico per favorire la partecipazione e la valorizzazione, esonerare, invece, poche volte è una soluzione.
Timmy trova il suo posto come cantante in una band heavy metal, dove i suoi vocalizzi gutturali hanno un gran successo. Il pubblico si diverte, ma i perbenisti dal cuore d’oro si scandalizzano che l’handicap venga strumentalizzato dalla band e se la prendono con i genitori che avrebbero dovuto proteggerlo e proibirgli quella esperienza. Dietro al “poverino!”, al “pat-pat” sulla testa che poi lascia nell’angolo c’è molta ipocrisia: il buonismo che esonera, che protegge – ma in verità nasconde – alla fine esclude.
“Si certo, abbiamo riso di Timmy, ma cosa c’è di sbagliato nel ridere? Il fatto che ridiamo non vuol dire che non ci interessi. Timmy ha sorriso, suonare lo ha fatto ridere, dov’è il danno in tutto ciò? La gente che sbaglia è quella che pensa che le persone come Timmy andrebbero protette e così di fatto eliminate dal contesto sociale. La cosa figa di Timmy che suona in una band è che è davanti ai vostri occhi e dovete affrontarlo, sia che ridiate, che piangiate o che non proviate niente.”
Parola di Sten.
Se non vi fidate di lui perché è stato censurato troppe volte dal Moige, leggete “Il pentolino di Antonino”: bellissimo, un manuale.
Parla di un bambino in difficoltà, di una persona che lo aiuta e di utili azioni buone. Buone davvero.

Il pentolino di Antonino
Autore/Illustratore : Isabelle Carrier
Kite Edizioni
http://www.kiteedizioni.it/Sito/images/stories/054_Pentolino_Antonino_scheda.pdf