Il vino è una cosa seria, mangiare bene anche. I posti giusti da scoprire durante il Vinitaly
44 milioni di ettolitri prodotti nel 2011, 24 esportati per un incasso da 4,4 miliardi di euro (5,83 di dollari) in crescita del 12% in valore e del 9% in volume, aggiudicandosi il 22% (la quota più alta) dell’intero export mondiale di settore. Ovvio, perciò, che per l’Italia il vino è una cosa seria. Specie in tempi in cui quasi nient’altro tira così. Certo, sul mercato interno le note sono assai più grigie. I consumi continuano a scendere (100 litri annui a testa nel 1970, meno di 43 oggi con 12 persi negli ultimi 15 anni). Ma questo trend, accelerazione da crisi economica a parte, è comune a tutti i grandi paesi (Francia, Spagna…) produttori e autoconsumatori. Cambiano stili di vita e di alimentazione, si beve meno e meglio (anche in un momento duro come l’attuale in Italia, l’anno scorso, la quota valore dei vini più pregiati, quelli a denominazione d’origine, è salita dell’11%, mentre è scesa la spesa complessiva). Con la ripresa, se arriverà, c’è dunque speranza anche sul fronte nazionale.
Ecco perché Vinitaly, la Fiera del vino a cadenza annuale più importante d’Europa, è più che mai un evento. 4.200 espositori, 160 mila visitatori, buyer da oltre 100 Paesi, e Verona (da sempre sede del Vinitaly) presa d’assalto. Con tutte le località limitrofe, fino al Lago di Garda, full booked da mesi per quanto riguarda i posti letto.
Quest’anno poi la Fiera ha rivoluzionato il calendario: partenza di domenica (tagliando venerdì e sabato) per ridurre, spezzando il week end, il numero di visitatori “turisti”, e concentrare l’audience su addetti ai lavori, trade, grandi appassionati (che sono anche grandi compratori di bottiglie d’élite).
La Fiera però si è concessa un antipasto: estremamente internazionale, in tono con i dati economici di annata: che vedono gli Usa primo cliente del vino italiano, e la Gran Bretagna terza dopo la Germania (716.000, 338.700 e 297.300 ettolitri importati dalle tre da podio).
In un palazzo antico della città, per un ristretto numero ddi invitati (critici, trade, etc.) e poi per 500 “wine lovers” paganti, gli “specialisti” in classifiche del vino di “Wine Spectator”, la bibbia anglofona di settore (con “Wine Advocat” di Robert Parker) che redige ogni anno, incrociando dati di produzione, prezzi e punteggi di degustazione, una celebre e attesa graduatoria dei 100 “top wines” mondiali, a Verona ha messo insieme invece il meglio d’Italia secondo lei. Cento produttori e i loro vini, secondo programma (ma un po’ italianamente divenuti per strada 105) sotto la label “OperaWine”.
Dentro, tutti gli immancabili, famosi nel mondo: Biondi Santi e Gaja, Antinori, Ferrari, Ca’ del Bosco, Bellavista, Frescobaldi, Ceretto, Felsina, Ama, Fontodi, Masciarelli, San Leonardo (QUI la lista completa) e via elencando. Ma invece, a leggere l’elenco, la sensazione è di “scouting” un po’ scarso tra i piccoli ma bravissimi, i “biologici”, i nuovi territori che stanno facendo tendenza, gli illustri “resistenti” che sono ormai nella storia (Giovanni Conterno o Valentini per tutti). Ma il defilé dei 105 è comunque impressionante.
Altrettanto impressionante è la “fame” di cibo buono che l’esercito dei visitatori, espositori, buyer, enologi etc. manifesta dopo gli assaggi di giornata. Un desiderio (sapendosi muovere) abbondantemente ripagato dalla abbondanza strepitosa di grandi tavole piazzate nella ricca zona padana che attornia la città, in particolare lungo la direttrice verso Milano e i laghi.
Sono tutti raggiungibili in tempo per cena da Verona luoghi come il Pescatore a Canneto sull’Oglio ( www.dalpescatore.com ), tre scintillanti stelle Michelin, la cucina nitida e affettuosa di Nadia Santini, la regia perfetta di Antonio, suo marito, patron superbo, e lil contributo dei figli, bravissimi. O il Miramonti L’Altro ( www.miramontilaltro.it ) a Concesio, dove chef francese (ma ormai lombardo per acquisizione) Philippe Léivellé, e patron locali, Daniela e Mauro Piscinni, hanno creato da anni un’associazione perfetta. O ancora a Erbusco, cuore della Franciacorta produttrice di spumanti, la casa del grande maestro di tutta una generazione di favolosi chef italiani, Gualtiero Marchesi ( www.marchesi.it ), ambientata nell’Albereta, relais legato all’azienda Bellavista. E si potrebbe continuare per un pezzo. Senza – credo – sorprendere nessuno.
La lista di “schedati” e consigliati che vi propongo è un po’ più mirata alla scoperta da un lato, e a continuare senza allontanarsi da Verona la full immersion nel mondo vino dall’altro. In città ecco perciò due indirizzi: la Bottega del Vino e Al Cristo dove la “crema” del Vinitaly si ritrova a stappare e sgranocchiar fino a molto tardi. E come ristoranti da trasferta, invece, cose meno decorate, fin qui, ma intriganti. L’Officina Cucina a Brescia, spazio ritagliato all’interno di un altro locale, come il primissimo Vissani a Baschi, dove un giovane cuoco si prende il lusso di cucinare a vista per un solo tavolo (fino a 10 commensali) con risultati di rande interesse. La Dispensa Pani e Vini a Torbiato di Adro (Franciacorta), dove un appassionato, limpido cuoco come Vittorio Fusari ha creato un ambiente semplice, amabile, ma di grande godibilità. E, dalla parta veneta, a Marano Vicentino, il laboratorio scoppiettante di uno dei giovanotti più promettenti (e più giramondo, quanto a esperienze) d’Italia, al momento: El Coq, dove ai fornelli crea, diverte e si diverte Lorenzo Cogo. Da non perdere. Se non altro per raccontare tra qualche anno, quando rischia di esser diventato una delle star mondiali: “Io? Ma pensate, c’ero andato già nel 2012…”
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