Il premier a sindacati e partiti: se il Paese non è pronto per le nostre riforme non aspettiamo il 2013 a lasciare
Se “attraverso le sue forze sociali e politiche” il Paese “non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro”, ovvero quello sulla riforma del lavoro, “non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data”, ovvero quella delle elezioni politiche del 2013. Lo ha affermato il presidente del Consiglio Mario Monti, incontrando a Seoul i giornalisti dopo la prima giornata del suo viaggio in Asia. Lo stesso premier aggiunge tuttavia che l’Italia “si è mostrata più pronta del previsto”.
Monti ha ribadito l’indisponibilità a una sopravvivenza del governo, in mancanza di risultati. “A noi è stato chiesto di fare un’azione nell’interesse generale”. Ricordando una celebre frase di Andreotti, ha aggiunto che “un illustrissimo uomo politico diceva: ‘meglio tirare a campare che tirare le cuoia’”. Ma “per noi- ha concluso – non vale nessuna delle due espressioni perché l’obiettivo è molto più ambizioso della durata, ed è fare un buon lavoro”.
Sulla riforma del mercato del lavoro “alla fine deve essere il Parlamento a decidere”, dice il presidente del consiglio parlando ai giornalisti mentre era è in volo verso Seoul: “La responsabilità del governo è quella di presentare” al Parlamento “una proposta che riteniamo equa e abbastanza incisiva e prospettare le ragioni per le quali, pur essendo il parlamento sovrano, cercheremo di avere un risultato in tempi non troppo lunghi e il più vicino possibile a quanto abbiamo presentato”.
“Anche a me e al ministro Fornero avrebbe fatto piacere avere a disposizione 3 anni” per scrivere la riforma del mercato del lavoro, come per gli interventi varati a suo tempo in Germania: perché in questo modo “sicuramente sarebbe uscita una riforma ancora migliore”, dice ancora il premier commentando l’importanza del fattore tempo nella definizione di un testo, sul quale comunque il governo ha fatto il meglio possibile. Un fattore tempo che, spiega, è stato anche alla base della scelta del disegno di legge, anziché del decreto. Quest’ultimo, osserva il premier, “sarebbe venuto a valle di un processo più lungo ma con una qualità al ribasso”, laddove l’esecutivo “ha fatto una scelta di qualità” pur nell’impossibilita’ di accontentare tutti.
Monti ha ammesso di “sentire il peso delle decisioni non facili che in questi ultimi giorni ha dovuto prendere”. Anzi, ha aggiunto, “dal 16 novembre, da quando ci è stata affidata questa responsabilità non abbiamo potuto evitare di prendere decisioni difficili” ma sempre “cercando di essere equi e distribuire i sacrifici e i contributi delle diverse parti economiche e sociali al risanamento dell’Italia”. “Lo scopo -ha ricordato il premier- è quello di far crescere l’Italia: ma non ci si può illudere che questo avvenga dall’oggi al domani, dopo qualche decennio gestito in modo non ottimale”. Monti ha comunque sottolineato che “quando si tratta di lavoro, di sindacati, di forze sociali, di elemento umano, il rispetto per tutti i soggetti coinvolti nella consultazione è grande”.
Per Monti non solo le questioni interne. Nel bilaterale avuto con il premier indiano Singh a margine del vertice di Seoul si è parlato dei due marò detenuti in India per la morte dei due pescatori e di Paolo Bosusco, l’ostaggio in mano a i ribelli maoisti. Il presidente del consiglio ha raccolto la disponibilità “di trovare una soluzione amichevole” e di assicurare ai due marò “condizioni adeguate allo status militare”. Dal canto suo il nostro premier ha riaffermato a Singh la convinzione che la giurisdizione sulla vicenda sia italiana: sulla questione, tuttavia, Monti ha sottolineato come “sia importante avere azioni più pazienti ma forse più profonde” in queste “situazioni oggettivamente molto complicate”. Lo stesso approccio, il presidente del Consiglio ha chiesto alle famiglie dei due militari, dicendosi comunque consapevole del fatto che queste “trovino duro avere fiducia, freddezza e pazienza” . Infine da Singh è giunta la assicurazione “che da parte indiana si faranno tutti gli sforzi per liberare”, Paolo Bosusco, il secondo ostaggio ancora in mano ai ribelli maoisti.
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