La foto della crisi. Eurispes, due su tre fanno lavori in nero per arrivare a fine mese
Equivale a 540 miliardi di euro, corrispondenti a circa il 35% del Pil ‘ufficiale’, il valore dell’economia sommersa nel 2011: è la stima che emerge da ‘L’Italia in nero’, il Rapporto sull’economia sommersa realizzato dall’Eurispes e dall’Istituto San Pio V di Roma.
Il ‘nero’ appare dunque, nella valutazione dell’Eurispes, uno dei mezzi principali per affrontare la crisi economica i cui sintomi sono evidenti.
L’Eurispes rileva che solo un terzo delle famiglie italiane riesce ad arrivare tranquillamente a fine mese; almeno 500.000 famiglie hanno difficoltà a onorare i mutui per la casa; aumenta il credito al consumo (più del 100% tra 2002 e 2011) e cresce la povertà ”in giacca e cravatta”, cioé quella dei lavoratori costretti a usufruire di mense e dormitori per i poveri.
Nel Rapporto si ricorda la distinzione tra economia sommersa ed evasione fiscale: l’economia sommersa comprende il complesso delle attività legali di produzione di beni e servizi che non sono rilevate dalla contabilità nazionale, in quanto collegate a fenomeni di evasione fiscale e contributiva e di utilizzo di lavoro non regolare. L’evasione fiscale quantifica il mancato gettito dovuto all’occultamento volontario (totale o parziale) della base imponibile di un tributo. Da segnalare che il valore stimato dall’Eurispes per l’economia sommersa nel 2011 è in crescita rispetto al valore stimato per il 2010 pari a 529,556 miliardi euro.
Per quanto riguarda il flusso di denaro generato dal lavoro sommerso, le stime si attestano a 280 miliardi di euro circa.
È stato ipotizzato che almeno il 35% dei lavoratori dipendenti sia ormai costretto ad effettuare un doppio lavoro per far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese. Questo vuol dire, si legge nel Rapporto, che sono almeno 6 milioni i doppiolavoristi tra i dipendenti che, lavorando per circa 4 ore al giorno per 250 giorni, producono annualmente un sommerso di 90.956.250.000 euro.
Lo stesso calcolo è stato applicato agli immigrati clandestini per i quali si stima un sommerso di 10 miliardi e mezzo di euro, e agli immigrati con regolare permesso di soggiorno che lavorano in nero, per i quali si stima un sommerso di 12 miliardi di euro.In Italia su un totale di 16,5 milioni pensionati, circa 4,5 milioni hanno un’età compresa tra 40 e 64 anni. È plausibile ritenere che all’incirca un terzo di essi lavori in nero.
A questo terzo si aggiungono altri 820.000 pensionati tra gli ultrasessantacinquenni, ma evidentemente ancora attivi, che vanno a formare, secondo le stime Eurispes, i 2.320.000 di pensionati italiani che producono lavoro sommerso. Ipotizzando che questi 2,3 milioni di individui lavorino per 5 ore al giorno, con un compenso orario medio di 15 euro, si ottiene un volume complessivo pari a 43,5 miliardi di euro. Altra categoria che sfugge ai dati ufficiali è rappresentata dalle casalinghe che nel nostro Paese sono almeno 8,5 milioni (ulteriori 12,6 miliardi di euro di sommerso).Ai 280 miliardi di euro circa derivanti dal lavoro sommerso si aggiungono 156 miliardi di euro di sommerso generato delle imprese italiane.
È stato possibile stimare questo dato, precisa l’Eurispes, basandosi sulle operazioni condotte dalla Guardia di Finanza: su oltre 700mila controlli effettuati presso le imprese sono stati riscontrati 27 miliardi di euro di base imponibile sottratta al fisco
Esiste inoltre una terza porzione di sommerso che si annida ad esempio nel mercato degli affitti (in particolare immigrati, studenti e lavoratori fuori sede) e che con 93 miliardi di euro rappresenta una fetta consistente dell’’altra economia’. Sommando le tre economie nascoste, quella prodotta sul mercato del lavoro e quella derivante dalle imprese con l’economia che è stata definita “informale”, è stato possibile quantificare per il 2010 il valore totale dell’economia sommersa in Italia pari a 529.556.250.000 euro mentre per il 2011 il volume stimato del sommerso è di 540 miliardi di euro.Secondo l’Eurispes lo squilibrio tra entrate e uscite di cassa rileva la presenza di una ricchezza familiare “non dichiarata”. La discrasia tra ricchezza “dichiarata” e ricchezza reale delle famiglie italiane trova ulteriore conferma nel raffronto tra: l’esigua percentuale di redditi elevati dichiarati dai contribuenti persone fisiche (meno dell’1% supera la soglia dei 100.000 euro); il numero di super-ricchi (circa 180.000 nel 2009, in crescita rispetto agli anni precendenti) e, più in generale, le dimensioni del mercato italiano dei beni di lusso (primato europeo nel 2010 con un giro d’affari di 16,6 miliardi di euro).Nel Rapporto si stila dunque una classifica di questo differenziale che a livello regionale vede il primato assoluto della Puglia, con uno ‘spread’ di 54, seguita da Sicilia, Campania e Calabria (spread rispettivamente di 53, 51 e 50); valori intermedi di spread (compresi tra 40 e 50) in sei regioni, di cui cinque nel Mezzogiorno (Molise, Abruzzo, Sardegna, Basilicata) e una nel Centro Italia (Umbria); valori minimi di spread (inferiori a 30) nelle rimanenti 11 regioni, localizzate in massima parte nel Nord Italia, con valori minimi in Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia (spread, rispettivamente, di 1, 11 e 12).
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