Daccò spiega il sistema sanità in Lombardia: Avevo amici politici a Roma che mi aprivano tutte le porte
Pierangelo Daccò aveva referenti politici importanti a Roma oltre che alla alla Regione Lombardia e in Sicilia. E’ quanto ha dichiarato lo stesso Daccò, l’intermediario di affari in campo sanitario, durante l’interrogatorio sostenuto il 17 aprile scorso davanti al gip Vincenzo Tutinelli e ai pm milanesi Laura Pedio e Antonio Pastore, due dei titolari dell’indagine con al centro la Fondazione Maugeri.
Daccò, già in carcere per il caso San Raffaele e poi nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Maugeri, ha spiegato di non aver mai avuto “necessità del ministero, perché il ministero a livello centrale (…) sulle Regioni poco conta”. E poi “quando avevo bisogno di qualcuno, avevo referenti politici importanti a Roma e potevo rivolgermi a loro(…) In particolare, negli ultimi anni, adesso purtroppo è andato in cielo anche lui, era il senatore Comincioli del Pdl (…) e altri, avevo Miccichè, che è un amico; Pippo Fallica, che è un altro amico”. Questi ultimi due ”assieme a Cammarata e Cuffaro”, erano i suoi punti di riferimento per ”gli affari in Sicilia”.
Carcere annullato. La Cassazione ha intanto disposto un nuovo esame nei confronti di Daccò nell’ambito del crac del San Raffaele. In particolare, la Suprema Corte nelle motivazioni contenute nella sentenza 16000 spiega che il gip del Tribunale di Milano, il 19 novembre 2011, ha “omesso di motivare” se Daccò fosse “consapevole dello stato di ‘grave crisi’ della Fondazione da cui aveva ricevuto le cospicue somme di denaro indicate nell’imputazione”. Daccò è finito in carcere per bancarotta fraudolenta in relazione al crac del San Raffaele.
Per risolvere gli incarichi che gli venivano dati dalla Fondazione Maugeri, Daccò si rivolgeva direttamente al “direttore generale” e qualche volta “all’assessore” alla Sanità. In particolare si riferisce a Carlo Lucchina, direttore generale alla Sanità. ”Anche a lui davo un pacco a Natale e colomba a Pasqua – spiega Daccò -. Addirittura c’è stato un anno o due che li ha rifiutati perché c’era aria che non si poteva più dare il pacco con dentro il vino, i fichi secchi, il panettone”. ”Integerrimo -commenta ironico il gip- …se mandava indietro il pacco col…”. Daccò: ”Lucchina (Carlo, ndr) me l’ha mandato indietro due anni, gli altri no. Poi dopo l’ha ripreso. Ha visto che insistevo anche lì”. Alla domanda: ”Ha mai dato denaro a soggetti collegati alla Regione Lombardia?”, Daccò ha risposto: ”Io in vita mia non ho mai dato denaro a nessuno, se non purtroppo a una persona che non c’è più”.
Daccò poi ammette di aver preso soldi anche dal ”Fatebenefratelli” e dalla ”clinica di Ligresti”. Se con il Fatebenefratelli avrebbe collaborato nel 2002, e non ha specificato per quale cifra, dalla non meglio definita clinica di Ligresti avrebbe ricevuto nel 1990 ”ottanta milioni” di lire ”per una cosa che non mi ricordo”. Solo in un momento successivo dell’interrogatorio Daccò ricorda: ”Sì. Sì. E poi c’è stata una… come dire, uno spot per il dottor Antonio Ligresti, quando c’è stato il problema della camera iperbarica al Galeazzi”.
Il ”problema” è l’incendio che il 31 ottobre 1997 ha causato la morte di dieci pazienti e un infermiere e per il quale Antonino Ligresti, è stato infine condannato a 3 anni di carcere per concorso in omicidio colposo plurimo e omissione delle norme sulla sicurezza.
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