Campionato e miserie. Sentenza record per Delio Rossi dopo gli schiaffi a Ljajic. Un colpevole tanti giudici, l’ipocrisia degli indignatos
(di Gianpaolo Santoro) Cento giorni di squalifica. Il calcio ha emesso la sua sentenza record, dopo quindici ore dal fattaccio già tutto deciso. Altro che rito abbreviato. Individuato il colpevole, palla a centro. Domenica è un altro giorno. Delio Rossi non potrà sedere in panchina per tre mesi, le quattro sberle in diretta televisiva date a Ljajic, zingaro dalla lingua lunga e dalla faccia sporca, l’hanno inchiodato davanti all’opinione pubblica calcistica, il giudice sportivo è stato inesorabile è puntuale è arrivata la squalifica.
Già ma dove la prendeva la panchina Delio Rossi? Ieri sera, con i giocatori ancora sotto la doccia, i Della Valle Brother avevano deciso di esonerare il tecnico. Viola di rabbia. Meglio cacciare il tecnico che ammettere i propri errori, una stagione fallimentare dove forse si riuscirà ad evitare la retrocessione, ma di certo nessuno in società potrà salvare la faccia, con una società allo sfascio, tutti in fuga, si salvi chi può…
Intanto sono tutti indignati: uomini di calcio, opinionisti, dirigenti, tesserati. Tutti scandalizzati, l’ipocrisia che rotola dietro al pallone ormai non ha più vergogna. Ma dov’era in quest’ultimo mese questo popolo di indignati, quando il calcio ha drammaticamente esposto le sue miserie, nessuna esclusa. Dalle liti sacrileghe sul recupero della giornata saltata per Morosini, col ragazzo ancora in obitorio, alla vergogna di Marassi, dove un gruppo di sciamannati ha dettato condizioni a squadra e polizia, pretendendo lo scalpo delle maglie da un gruppo di giocatori senza nervo e senza palle (sarà un caso che l’unico a non togliersi la maglia è stato Giuseppino Sculli, calciatore notoriamente dalle spalle forti, essendo il nipote prediletto del boss di Locri Morabito?). Dalla sceneggiata dell’Olimpico trasformatosi in Colosseo dove il centurione Totti è stato chiamato a rapporto da un gruppo di ultras giallorossi per decidere le sorti del povero Luis Enrique sempre più spaesato e imbambolato e che, chiaramente, non vede l’ora di scappare da questo covo di matti da legare, alla farsa di Udine, il fischio non fischio, il gol non gol, la rissa generale calciatori e dirigenti compresi e il conseguente reclamo per errore tecnico della Lazio, cose che si vedono soltanto nei campi di terza categoria, dove trovare una doccia calda è già una buona notizia. Una lunga vetrina di miserie calcistiche, dove sono dentro tutti, in modo o nell’altro: dai presidenti ai calciatori, dagli allenatori agli arbitri, ai tifosi professionisti: un mondo marcio che non regala più sorrisi. E tralasciamo calcioscommesse e partite combinate, per amore del rito domenicale, altrimenti ci sarebbe da salutare e andare oltre.
Ed ora tutti col dito puntato contro un tecnico non di grido, ma di certo mite e compito, sempre cauto nelle parole e nei giudizi, che lavora col cuore prima che col portafoglio, protagonista di un calcio che non esiste più (come dimenticare il bagno che andò a fare in mutande nella fontana di Trevi dopo la vittoria in un derby contro la Roma?) perché ha perso maledettamente la testa nei confronti di un ragazzino irriverente e sfrontato mentre si giocava, sotto di due gol, la serie A? Il calcio politicamente corretto, ipocrita si è schierato tutto nella ferma condanna, come vuole il rituale. Noi non siamo d’accordo. Anche per i ragazzini viziati che sanno più meno tirare calci ad un pallone deve esserci un limite, una decenza. Il mite Delio Rossi mercoledì sera ha sbagliato una volta tanto tattica, ma non contro il Novara, contro Ljajic. Doveva saper aspettare ed una volta negli spogliatoi, attaccare il ragazzino al muro. Se parlassero le mura degli spogliatoi delle squadre di calcio, potrebbero raccontare di pugni e cazzotti almeno quanto un ring…
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