Riforma del Lavoro, nuove correzioni. Una commedia degli equivoci verso il traguardo
(di Giuliano Cazzola) Buone notizie dal Senato per quanto riguarda il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro. Giovedì sono stati depositati gli emendamenti dei relatori (Maurizio Castro del PdL e Tiziano Treu del Pd) insieme a quelli del Governo. I primi correggono soprattutto le norme concernenti i rapporti flessibili in entrata; i secondi aggiustano qualche aspetto marginale relativo alla revisione della disciplina del licenziamento individuale ma riscrivono, praticamente, le norme in tema di politiche attive del lavoro che, nel testo iniziale, trattavano l’argomento in termini eccessivamente generici e rituali. Il testo sarà votato, nei prossimi giorni, in Commissione referente poi andrà in Aula e di seguito alla Camera. Se approvato (entro l’estate) con queste modifiche la riforma risulterà sicuramente più equilibrata, soprattutto perché saranno in parte superate quelle pregiudiziali sui rapporti flessibili (lavoro a termine, intermittente, partite Iva, apprendistato e collaborazioni) che avrebbero complicato la vita delle aziende, scoraggiandone – in una fase di grave recessione – le assunzioni. Gli emendamenti non si sottraggono all’esigenza di contrastare gli abusi, ma non esitano a superare un’impostazione manichea e punitiva che aveva raccolto le critiche di tutto il mondo delle imprese. E’ importante che, tramite la mediazione di relatori certamente competenti ed autorevoli, i partiti dell’attuale maggioranza siano stati in grado di pervenire a posizioni comuni in materia di lavoro, superando culture, ideologie e visioni fortemente differenziate. E’ un passo avanti nella direzione giusta, anche perché il PdL e il Pd sono riusciti a ribadire il ruolo del Parlamento, nonostante i vincoli posti da un Governo decisionista e da parti sociali con pretese egemoniche. Questa vicenda è stata fino ad oggi una sorta di. Tutte le forze in campo, hanno dato troppa importanza alle modifiche da apportare all’articolo 18 dello Statuto, anche a costo di concedere, in cambio, alla Cgil una sostanziale destrutturazione dell’impianto della legge Biagi. Si è corso il rischio – sarebbe stato grave non evitarlo – di irrigidire quel mercato del lavoro che si voleva rendere più equilibrato e flessibile.
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