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Buffon, chi non ha peccato scagli la prima pietra. Le scommesse milionarie del portiere della nazionale

Ci risiamo. Gigi Buffon è un ragazzo schietto e, probabilmente ingenuo. In campo è un numero 1, nella vita brancola, come tutti noi in mezzo al gruppo. Riecco alla ribalta la sua passione per il gioco, per le scommesse. Secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza tra il gennaio 2010 e il settembre 2010 Gianluigi Buffon ha “staccato” 14 assegni bancari di importi compresi tra i 50.000 e i 200.000 euro. In totale 1.585.000 euro. Uno solo il destinatario: Massimo Alfieri (titolare di una tabaccheria di Parma abilitata anche alle scommesse calcistiche di Lottomatica). Nell’informativa si legge che l’avvocato Marco Valerio Corini, legale del portiere della Juventus e della Nazionale, non ha voluto dettagliare la ragione della segnalazione. Lo stesso avvocato – si legge nell’informativa – si è limitato a descrivere il beneficiario degli assegni come persona di assoluta fiducia, spiegando che i trasferimenti di liquidità sono volti a tutelare parte del patrimonio personale di Buffon. L’avvocato ha, inoltre, accennato ad una società fiduciaria ed all’acquisto di immobili a Parma, senza specificare l’esistenza o meno di scritture private o atti di compravendita donazione. Mah.. La realtà inequivocabile è che Buffon è già stato coinvolto in una inchiesta giudiziaria, insieme ad altri calciatori (Maresca, Mark Juliano, Chimenti). Da fresco campione del mondo riuscì a “dimostrare” di aver rispettato le normative, sia quelle penali che disciplinari. Insomma una sorta di amnistia. In pratica si disse puntava solo sul calcio straniero, specialmente su quello danese, mai sulla Juve o su altre squadre del campionato italiano.
Per conoscere meglio Gigi Buffon riportiamo alcuni brani del capitolo dedicato al portiere della Juventus dal mio libro “La solitudine dei numeri 1” (Manifesto editore)
“…. Una volta, a Parma, mostrò sotto la curva una maglietta con la scritta Boia chi molla: gesto che, oltre ad uno tsunami di critiche, gli costò il deferimento alla commissione disciplinare. Spiegò tutto ai giudici, e ai lettori della sua autobiografia sportiva, con queste parole: “L’idea era nata da una scritta incisa sul cassetto di un tavolo ai tempi del collegio. Non voleva esserci alcun aggancio con il motto che durante la Prima guerra mondiale era del corpo degli Arditi, dal quale nacquero nel 1919 i Fasci di combattimento.”
A dire il vero era stato anche il motto dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, della famigerata “X Mas”, ma per il buon Gigi era solo un vecchio, anonimo, slogan dei tempi del collegio. Insomma i campioni a volte (spesso) sono un po’ così, non è che s’intendono tanto di Storia…
All’inizio della stagione 2000-2001, con il Parma, Gigi sceglie come numero di maglia l’88, e si scatena un altra bufera.
“L’88, cioè quattro palle, era proprio il numero adatto a me: un uomo con 4 palle…”, fu la sua motivazione. Ma un calciatore è un’immensa cassa di risonanza, e far polemica con lui garantisce un’enorme visibilità. Cominciarono le proteste di diverse associazioni, vibrante fu la rimostranza di Vittorio Pavoncello responsabile dello sport della comunità ebraica di Roma, che parlò addirittura di apologia al nazismo. Il numero 88, infatti, sarebbe associato a Hitler (l’ottava lettera dell’alfabeto è la H, quindi due 8 rischiavano di essere interpretati come simbolo dell’Heil Hitler).
Gigi si arrese. “Se è così… scusate…”, e ripiegò sul 77: niente superdote di palle, ma almeno nessun equivoco o sinistro collegamento con l’orrore abominevole del nazismo.
“Di certo il buon Gigi se sul campo sembra avere una calamità per i palloni, fuori dagli stadi sembra attirare fortemente i guai, o quanto meno, le situazioni ingarbugliate. Come quella, ad esempio, del falso diploma. Iscritto a ragioneria, era già un calciatore professionista, fece la quinta da privatista ma non si presentò agli esami di maturità. Però puntuale presentò l’anno dopo la domanda di iscrizione alla segreteria dell’università di Parma alla facoltà di Giurisprudenza. Presentò un diploma rilasciato da una scuola romana il “Centro studi Antonio Manieri”. Dopo un controllo il diploma risultò essere fasullo. “Mai avuto il signor Buffon come studente” sentenziò la scuola. La faccenda finì alla procura della Repubblica di Parma, che all’epoca non aveva il caso Parmalat, non aveva bimbi rapiti e uccisi, insomma non aveva molto da fare. Buffon patteggiò la pena e pagò una multa di sei milioni di lire
Un carattere particolare, difficile, insomma. Chiuso e aperto al tempo stesso, estroverso e introverso. Lui che insegnava la calma ai compagni prima delle partite, e che mentre gli altri erano consumati dalla tensione, sonnecchiava tranquillo come Socrate, dopo si chiudeva nella depandance a saltabeccare come un tifoso indemoniato sugli spalti.
Ma una cosa, è certa: Buffon è un tipo schietto. Pane al pane e vino al vino. Non concede sconti, soprattutto a se stesso. E non ha paura di fare outing. A 25 anni, nel pieno della carriera, tutto soldi, donne e onori, ha incontrato – forse pagando cara l’energia mentale ceduta senza risparmio a difesa dei pali – lo spettro della depressione.
“Non ero più soddisfatto della vita e del calcio – ha scritto nella sua autobiografia e poi ribadito in una intervista televisiva – di quello che facevo e di quello che ero. Ricordo che mi chiedevo: ma che cosa me ne frega di essere Gigi Buffon? Per la gente sei un idolo, ma nessuno che ti chieda mai, semplicemente: come stai? E’ stato un periodo cupo, nero. Io sono una persona solare, altruista, ottimista. Ma quando vivi una cosa simile è chiaro che queste qualità vanno a farsi benedire. E allora per uscire dal tunnel mi sono fatto aiutare da una psicologa.”
Non deve essere stato facile per uno come lui, per un numero uno, ammettere di essere stato male. Confrontarsi con i propri limiti umani, quelli che in campo in certi momenti di estasi – come quando pari un colpo di testa di Zidane, solo davanti a te, e guadagni il passaporto per il tetto del mondo – sembra di poter oltrepassare.
Ma il portiere non è come l’attaccante. Non esiste il “quasi gol” per lui. Non ci sono mezze misure. Il portiere è un duro, uno che guarda in faccia la realtà. E anche quando incontrò il suo lato più fragile e umano, Gigi non minimizzò. Disse che sentiva delle voci, che gli sembrava d’impazzire. Che faticava ad allenarsi e a giocare. Che un giorno a Torino era andato tre volte a vedere la stessa mostra di Chagall, perché si era accorto che quelle immagini lo facevano stare meglio.
Ha affrontato il suo “male oscuro”, senza sfuggire alla verità, accettando che la vita è tutto un divenire e non si può “guarire per sempre” .
In quel periodo si mise anche a scommettere. Puntava on line sulle partite di calcio. Per vincere la noia, per qualche scarica di adrenalina. E anche qui niente mezze misure. Puntate da centinaia di migliaia di euro. Venne coinvolto in una inchiesta giudiziaria, insieme ad altri calciatori (Maresca, Mark Juliano, Chimenti) ma fu prosciolto. Riuscì a dimostrare di aver rispettato le normative, sia quelle penali che disciplinari. In pratica puntava solo sul calcio straniero, specialmente su quello danese, mai sulla Juve o su altre squadre del campionato italiano.
Prediligeva i pareggi e, forse per buon augurio, per rispetto dei colleghi, spesso anche sulle partite senza reti.
Perché zero a zero è l’unico risultato che fa vincere entrambi i portieri…”