Himalaya, valanga killer: travolte dodici persone. Morto anche un alpinista italiano
Tragedia della montagna nella notte sul Manaslu sulla catena dell’Himalaya in Nepal, dove una valanga ha travolto una spedizione di 35 alpinisti, tra cui l’italiano Alberto Magliano.
Il consolato italiano a Calcutta ha confermato la morte di Magliano, nato a Trieste il 24 novembre del 1945. Il console Joel Melchiori, raggiunto telefonicamente dall’Adnkronos ha riferito della presenza di altri 8 italiani membri della spedizione.
Nessuno di loro, ha detto Melchiori, risulta aver subuto ferite gravi.
Si tratta di una delle peggiori tragedie accadute in Himalaya-Karakorum, nel 2008 sul K2 morirono 11 alpinisti per il crollo di un seracco.
Magliano non era un dilettante della montagna. Era stato inftti il primo alpinista non professionista ad aver conquistato le ‘Seven summits’, le sette vette più alte del mondo. Esperienze raccontate e documentate con foto sulle pagine internet del sito sevensummit in cui Magliano si definiva “un conquistatore dell’inutile”.
“Ai tanti che in questi anni mi hanno chiesto cosa rappresenti la montagna per me – spesso un po’ stupiti nel vedere un non professionista cosi’ intensamente impegnato nell’alpinismo – ho sempre risposto che e’, innanzitutto, il luogo della mia libertà”.
“Liberta’ da tutto cio’ che ci vincola, ci impedisce, ci limita, vorrei dire “ci trattiene in basso”. Emblematico, per me, il titolo di uno dei tanti libri di Reinhold Messner: ‘La liberta’ di andare dove voglio’. L’alpinismo cosi’ interpretato diventa una straordinaria attivita’ di vita, molto piu’ di uno sport, ma nulla a che vedere con un lavoro: un modo di vivere, forse addirittura una visione del mondo. Le migliori tra le guide alpine che conosco non riescono a vivere la loro professione come un mestiere: la vedono come la proiezione adulta di un’attivita’ ludica, iniziata da ragazzi e miracolosamente trasformata in un lavoro di alta responsabilita’”.
“In questo spirito -proseguiva Magliano- mi sono sempre considerato un ‘conquistatore dell’inutile’, secondo la geniale definizione di Lionel Terray, in cui la vacuita’ dell’oggetto e il disinteresse del soggetto sono clamorosamente compensati dalla faticosa realta’ della conquista. Ho sempre detestato la drammatizzazione dell’alpinismo: intendiamoci, il dramma e’ spesso una componente reale delle storie di montagna, ma e’ accidente, non sostanza. Per questo mi sono sempre battuto, e continuo a farlo, contro i tanti venditori di montagna scritta e parlata che, per aumentare le tirature o l’audience, trasformano oneste avventure di alpinismo in feuilleton a sfondo eroico”. “Un’altra cosa che amo dell’alpinismo e’ l’assenza del cronometro, o comunque di un misuratore oggettivo delle prestazioni: grazie a cio’, il piu’ bravo non e’ mai soltanto quello che fa il passaggio piu’ duro, o che impiega meno tempo a fare la via o che porta lo zaino piu’ pesante. Io credo invece che il grande alpinista sia individuato da un complesso di doti fisiche, psichiche, tecniche e culturali, qualcosa di simile al grande artista: infatti ce ne sono pochi, e non si autocertificano mai”, concludeva.
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