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Tremonti si sgancia da Berlusconi e fonda il movimento “Lavoro e libertà”: Contro la lobby della finanza internazionale

Il vero ‘salva-Italia‘ è il ‘compra -Italia’”, ovvero un piano per “mettere in sicurezza il nostro debito pubblico”, per “tornare ad essere ‘padroni a casa nostra’, bloccando la speculazione sulla nostra porta di casa: lasciarla fuori, via via sottoscrivendo noi la quota attualmente in mani estere del nostro debito pubblico, così da chiudere il canale attraverso cui importiamo in presa diretta proprio quella speculazione finanziaria che ci ha destabilizzato e che continua a destabilizzarci”.
E’ la proposta filo conduttore del ‘Manifesto 3L‘ (Lista lavoro e libertà), “contro l’esecuzione pronta e silenziosa di una ‘agenda straniera’”, che Giulio Tremonti presenta e discute oggi e domani a Riccione. Più di quaranta pagine di analisi e idee sulla crisi finanziaria, accompagnate da una seconda parte divisa in cinque blocchi (‘compra-Italia’, appunto; economia; ricerca, medicina, ambiente; democrazia e società; Europa), aperti ai contributi che potranno arrivare nella discussione di oggi e domani e nelle prossime settimane. Pollice verso anche per “il propagandato ‘(s)vendi-Italia’, da realizzare con un colpo da 400 miliardi di euro”, perché “non ci salverebbe, ma ci distruggerebbe”. Viceversa “l’operazione che dobbiamo fare – scrive Tremonti – deve essere basata, più che sulla forza bruta, sulla forza della ragione. Per questo deve e può essere solo volontaria, basata sull’offerta, per libera sottoscrizione, di nuovi titoli pubblici, emessi per scadenze e per tassi ragionevoli”.
“Nella logica di un’operazione così strutturata e finalizzata, i soldi -spiega l’ex ministro dell’Economia- restano nelle tasche degli italiani e restano in Italia e sono qui bene e convenientemente e sicuramente investiti, qui più che all’estero. Per incentivare l’investimento è essenziale un regime fiscale e premiale. Per questo come è stato in Italia, per decenni e decenni (e fino agli anni ’80), i nostri nuovi titoli pubblici devono tornare ad essere ‘esenti da ogni imposta presente e futura’. Esenti tanto sui frutti, quanto sul patrimonio”.
Tremonti perciò boccia “il rigore ‘tecnico’ fatto, come nella medicina antica, con le ‘sanguisughe’”, avvertendo che “quello che in Italia ha finora fatto il governo tecnico, con la sua ‘strana’ maggioranza, dovrebbe essere solo un antipasto, in attesa delle successive portate che si trovano già scritte nel lascito della sua ‘agenda’”. Così la rischiosa prospettiva, afferma l’ex ministro, è quella sintetizzata nelle parole dell’Inno di Mameli: “‘Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi’. Ora come allora, oggi come centocinquanta anni fa nell’inno d’Italia, sono in gioco la nostra sovranità nazionale e, con questa, la nostra personale dignità, la nostra libertà, la nostra proprietà”.
“Non c’è tecnico e non c’è straniero che verrà a ‘salvarci’. Non c’è ‘paracadute di Francoforte’ a cui appenderci. Non ci possiamo affidare solo alle cure economiche ‘europee’. Quelle finanziarie sono infatti solo temporanee e sono comunque a pagamento (prima l’ossigeno, poi la fattura, con gli interessi). Quelle economiche, più che curare fanno del male, creando recessione, disperazione, emigrazione”. Non solo. “Nelle nostre strade si stanno diffondendo i cartelli ‘compro oro’. Weimar cominciò così! Quando la crisi arrivò al ceto medio”.
“A differenza degli altri partiti, a differenza degli altri movimenti, qui – spiega Tremonti – si propone prima di tutto una operazione mirata a mettere in sicurezza il nostro debito pubblico. Non è che dopo si entra nel ‘Paese di Bengodi’, non è che dopo si può allentare il vincolo di bilancio. E’ che, senza questo, non c’è un dopo!”.
L’ex ministro è consapevole che con la sua proposta “si andrà contro, e si avrà certamente contro, la ‘lobby’ della finanza internazionale. Saranno contro anche le sue filiali italiane. Una ‘lobby’ che dirà e farà tutto il possibile contro. Pazienza. La ragion d’essere dell’Italia come Stato nazionale non può esaurirsi nella esecuzione dei diktat imposti dal mercato finanziario e per lo sviluppo dei loro interessi, non può ridursi nella compilazione di ‘compiti a casa’, prima benevolmente scritti dai nostri ‘partner’ europei e poi vigilati dai loro fiduciari domestici”.
“Perché negli ultimi anni sembrano aver titolo per parlarci solo quelli che i soldi li creano, li moltiplicano o li inventano, li concedono o li ritirano: finanzieri, tecnici, banchieri, i maghi del denaro? Senza essere eletti dal popolo, ma tra di loro cooptati od illuminati, benevoli o famelici, questi, dopo aver preso il controllo prima dei risparmi e poi delle tasse e della spesa pubblica, oggi dal popolo vogliono ancora di più. Vogliono che il popolo rinunci di fatto a fare sentire la sua voce. Non tanto vogliono che formalmente il popolo rinunci al voto, quanto che lo esprima nella forma muta dell’obbedienza a ‘diktat’ che vengono da sopra e da fuori. C’è poi chi, per spirito di servizio, si candida a vincere, non a partecipare. Ma solo se lo chiedono i ‘mercati finanziari’ ed i ‘partiti politici’ (nell’ordine!)”.
“E’ sempre più forte per l’Italia – è ancora l’allarme di Tremonti – il rischio della colonizzazione. Colonizzazione tanto da parte del mercato finanziario, che specula sull’Italia, quanto da parte di altri Stati, di altre economie, che giorno dopo giorno si stanno rivelando capaci di sfruttare per il loro vantaggio economico la nostra attuale e sfortunata debolezza. In Italia ci martellano con dosi di grottesco ottimismo: l’Italia attacca, l’Italia avanza? Goal della Germania!” Di fronte a questo scenario nessuna fiducia né per la destra né per la sinistra: “Per noi pari sono”, si legge nel Manifesto’. La prima “si fonda su tanto banali quanto fallimentari parole d’ordine mercatiste: agita le sue bacchette magiche, che poi sempre hanno dimostrato di portare con sé caos, conflitti e crisi”. “La sinistra ha per suo conto tagliato le radici con il passato, è avversaria delle tradizioni, è diventata più cosmopolita che internazionale, in marcia verso il nuovo ed il diverso, questi intesi come espressione dell’ideologia del progresso: immigrazione, come chiamata del popolo di ricambio, questo un popolo nuovo e più docile, al posto di quello vecchio; e poi ancora ‘famiglie orizzontali’; attesa per figure redentrici di umanità varia”.
Tremonti infine si sofferma anche sulle vicende che a partire dall’estate del 2011 crearono le premesse per la fine del governo Berlusconi e la nascita di quello attuale: “Proprio allora Palazzo Chigi si è trasformato, e si è presentato all’estero, come la nuova ‘cabina di regia’ (sic!) della politica economica italiana”. “Un ‘atelier’ che invece di guardare fuori, invece di guardare a cosa stava accadendo fuori dall’Italia, nel mondo ed in Europa; invece di seguitare nella vecchia sperimentata, ed ancora più saggia politica di prudenza, guardava invece solo all’interno ed indietro, solo avendo presente l’obiettivo politico di ‘riprendere i nostri (?) voti’, voti persi nelle ultime elezioni amministrative, e per questo appunto metteva in scena la sua nuova e stupefacente ‘collezione estate-autunno 2011′”. Tutto questo con “annunzi irresponsabili (‘ci vuole coraggio e non prudenza!’); promesse di ‘riduzione delle tasse’ (senza dire come, per chi, etc); assicurazioni ‘francesi’ (smentite da Parigi il giorno dopo); lettere suicide chieste da Palazzo Chigi alla Bce ed alla Banca d’Italia, con cui il pareggio non era rinviato, ma addirittura anticipato al 2013, così da strangolare l’economia italiana; impegni astutamente aggirati in Parlamento, dopo essere stati solennemente assunti con l’Europa; contraddizioni e negazioni in tempo reale, come nel surreale G20 di Cannes”.