Paese sempre più povero, gli italiani vendono oro e gioielli di famiglia per fronteggiare la crisi
L’Italia affronta un’autentica prova di sopravvivenza, stretta nella morsa della crisi, dalla quale sta provando a uscire, cercando di miscelare il rigore imposto dalle istituzioni politiche ed economiche nazionali ed europee con la intraprendenza personale e la solidarietà familiare. E’ questo il quadro dipinto dal Rapporto Censis per illustrare la situazione sociale del Paese. “Tenere insieme le ragioni del rigore istituzionale e la voglia popolare di sopravvivenza sarebbe un significativo passo di crescita della nostra unita’ nazionale”, avverte il presidente del Censis Giuseppe De Rita.
Nelle considerazioni generali, il rapporto premette che “volge al termine un anno segnato da una crisi cosi’ grave da imporre l’assoluta centralita’ del problema della sopravvivenza; una centralita’ quotidianamente alimentata dalle preoccupazioni della classe di governo, dalle drammatizzazioni dei media, dalle inquietudini popolari”. In sostanza, “dalla paura di non farcela e, che non ha risparmiato alcun soggetto della societa’: individuale o collettivo, economico o istituzionale”. Basti pensare alle famiglie e ai piccoli imprenditori, alle banche e alla sorte dell’euro, all’incubo dello ‘spread’ e allo spettro del ‘default’.
Una crisi inizialmente percepita come l’ennesima che ciclicamente si ripropone; ma che al contrario si e’ rivelata diversa da quella che ci aspettavamo, piu’ complicata che nelle crisi precedenti e cosi’ ‘perfida’ da imporci una radicale rottura di schema anche interpretativo, prima ancora che decisionale e operativo. Ci siamo trovati dentro fenomeni e processi non padroneggiabili e in parte neppure comprensibili”. Soprattutto, “ci siamo ritrovati in una progressiva crisi della sovranita’, a tutti i livelli: politico, economico, sociale”.
In Italia e in Europa, osserva nel suo Rapporto il Censis, ” nessuno e’ stato in grado di esercitare un’adeguata reattivita’ decisionale. Nessun soggetto politico: Stato, partito, Parlamento; e nessun soggetto socio-economico: impresa, banca, sindacato, si e’ rivelato infatti piu’ padrone della propria strategia d’azione, della propria operativita’, del proprio stesso destino, tutti esautorati dall’impersonale potere dei mercati”.
Ma per quanto riguarda in particolare il nostro Paese, le dinamiche si sono per cosi’ dire divaricate: “Da un lato, le istituzioni politiche si sono concentrate a esercitare la necessita’ e la determinazione nel difendere con rigore e nel rigore la fragilita’ dei conti pubblici, della nostra credibilita’ finanziaria internazionale, della possibile nostra dipendenza e tutela rispetto ai poteri e alle istituzioni internazionali. Dall’altro lato, i soggetti quotidiani della vita economica si sono adattati a risolvere da soli la loro inermita’, anche scontando sacrifici e restrizioni derivanti dalle politiche di rigore, operando su se stessi radicali modifiche di atteggiamento e di comportamento”.
Questa divaricazione e’ diventata strada facendo sempre piu’ chiara e netta, fino al punto in cui, sottolinea il Censis, “ci siamo resi conto che le strategie istituzionali di rigore dei conti, di riduzione delle spese, di riforme settoriali, di razionalizzazione dell’apparato pubblico, sempre meno trovavano saldatura con le affannose strategie di sopravvivenza dei vari soggetti sociali”. Si potrebbe dunque parlare di “due strategie da separati in casa”.
Il Censis non da’ eccessivo peso al rischio da piu’ parti paventato che “in una tale situazione, possano maturare da una parte poteri oligarchici e dall’altra tentazioni di populismo, anche rancoroso”. Infatti, spiega nel suo Rapporto, “sono effetti di lungo periodo, che non sembra possibile ricomprendere nell’analisi delle turbolenze dell’ultimo anno, gia’ abbastanza ansiogene per loro conto”.
Semmai, “vedremo, nella strada che porta alle elezioni politiche, se l’agenda di rigoroso governo del sistema si tradurra’, nei prossimi mesi, in impulsi di leadership politica e di mobilitazioni collettive, anche per i tanti soggetti che continuano a non capire e a non sentirsi coinvolti” dalla prova di sopravvivenza imposta all’Italia dalla crisi.
Se “in questo sobbollire di pulsioni negative, i tempi cattivi avrebbero potuto diventare pessimi, nella drammatica attesa di tracolli da qualcuno preconizzati come inevitabili”, invece “nel sottofondo della dinamica sociale ha cominciato a vedersi una autonoma tensione alla solidita’, confermando l’antica verita’ che le crisi, forse proprio nel sobbollire di pulsioni negative, inducono a percorsi di complessa maturazione del corpo sociale”.
A questo punto, il Censis nel suo Rapporto suggerisce il ricorso a una parola che suona come di nuovo conio: “restanza” (tratto dal francese ‘resistance’ e togliendo il ‘si’ intermedio cosi’ da ridurla a ‘restance’ come suggerito dal filosofo Jacques Derrida). Anzitutto, “restanza del passato, sfruttando al massimo tutte le piu’ nascoste ma solide componenti del modello pluridecennale che ha fatto l’Italia di ieri e anche di oggi”.
Dunque, “esaltando “la sobrieta’, la pazienza, l’impegno personale, il protagonismo aziendale e familiare, la funzione suppletiva delle famiglie rispetto ai buchi di copertura del welfare pubblico, la solidarieta’ diffusa e l’associazionismo, la vslorizzazione del territorio”. Ma “nella ‘restanza’ non c’e’ solo l’eredita’ del nostro tradizionale modello si sviluppo – ricorda il Censis – C’e’ anche qualche complesso di colpa per quello che non abbiamo fatto e che quindi resta da fare”.
In questo anno, ” abbiamo visto in atto da un lato impegnative politiche di vertice volte ad allineare il sistema al rigore predicato e perseguito dalle piu’ influenti sedi di potere europeo e dall’altro milioni di persone sopravvivere da sole alla crisi”. Pero’, “si e’ trattato di due dinamiche importanti ma pur sempre parallele, visto che non si sono integrate fra loro, anzi hanno di fatto agito con reciproco senso di alterita’ e talvolta di conflittualita’. Se restassero in parallelismo ci potrebbe essere il pericolo di una ulteriore divaricazione”. Ma, avverte in conclusione il Censis, “contrapposizioni di questo tipo oggi sarebbero fuori luogo, visto che vive nel Paese una serieta’ collettiva, nelle preoccupazioni come nell’impegno, prima impensabile e che non va dispersa nelle venature conflittuali delle prossime vicende elettorali”.
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