Napoli, atti giudiziari manomessi: 26 arresti tra avvocati e cancellieri
Terremoto in Corte d’Appello e al Tribunale di sorveglianza. Finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria del Comando provinciale di Napoli hanno eseguito stamattina 26 ordinanze cautelari, di cui 3 in carcere, 22 ai domiciliari e una misura interdittiva. In tutto sono 45 le persone indagate.
Le accuse sono a vario titolo di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari, violazione del segreto istruttorio, occultamento di fascicoli processuali e accesso abusivo ai sistemi informatici. Reati commessi all’interno di uffici giudiziari di Napoli, in particolar modo presso la Corte d’Appello e presso il Tribunale di sorveglianza.
L’indagine è stata coordinata dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico. Tra gli arrestati vi sono 4 avvocati e 9 tra cancellieri, commessi e operatori giudiziari.
Le Fiamme Gialle hanno eseguito intercettazioni telefoniche e ambientali, acquisito documenti e fascicoli processuali, compiuto pedinamenti e sopralluoghi. L’attività investigativa avrebbe consentito di accertare ”un diffuso e inquietante fenomeno di corruzione negli uffici giudiziari di Napoli, Tribunale di sorveglianza e Corte d’Appello”, spiegano in Procura.
Identificati anche i protagonisti di questa vicenda, rappresentati da dipendenti pubblici, avvocati e faccendieri. “Il chiarissimo contenuto delle intercettazioni, in particolare quelle ambientali e audiovisive -spiegano gli inquirenti- eseguite negli uffici giudiziari della Corte d’Appello di Napoli ha permesso di individuare oltre una rete corruttiva, anche singoli e specifici episodi di corruzione di personale di cancelleria, attraverso i riferimenti ai numeri di procedimento, ai nominativi dei soggetti interessati, riscontrati dalle attività di pedinamento svolte dalla polizia giudiziaria e all’esame degli atti, processuali e non, acquisiti”.
Secondo la procura, dall’indagine emerge uno schema ricorrente: i dipendenti pubblici, funzionari o commessi degli uffici giudiziari, su sollecitazione di vari professionisti e faccendieri, intervenivano, illecitamente, su fascicoli processuali, occultandoli o sottraendovi atti, in cambio di denaro ed altre regalie, al fine di condizionare il normale iter giudiziario. Dalle intercettazioni, sottolineano gli inquirenti, si evince l’esistenza di una vera e propria organizzazione, definita come “rete corruttiva”, con precisa distribuzione di ruoli tra i dipendenti pubblici, a seconda dell’incarico e della qualifica ricoperti.
Il sistema ha permesso ai funzionari e dipendenti pubblici corrotti, di stabilire addirittura delle tabelle per determinare l’entità delle mazzette da ricevere, differenziate in base al tipo di manipolazione di fascicoli processuali. In alcuni casi sarebbero stati gli stessi dipendenti degli uffici giudiziari a sollecitare le attività illecite, proponendo ad avvocati e faccendieri delle ipotesi ‘interessant’ per i loro clienti e stabilendo il prezzo per ciascuno dei ‘favori’ proposti.
Alcuni episodi riguardano, poi, anche procedimenti a carico di imputati per reati di criminalità organizzata, anche detenuti, della cui posizione giuridica gli indagati sono ben consapevoli, e che non hanno esitato a favorire, nel tentativo, a volte riuscito, di far sparire fascicoli in attesa della decorrenza termini di custodia cautelare, o di fare in modo che, attraverso continui rinvii –ottenuti mediante sparizione del fascicolo processuale o di singoli atti- si prescrivessero i reati contestati.
La misura interdittiva riguarda un consulente tecnico iscritto all’albo della procura e del tribunale che su incarico di un avvocato e dietro pagamento di somme di denaro, ha redatto perizie psichiatriche d’ufficio compiacenti a favore di un soggetto gravato di numerosi procedimenti penali. Ai domiciliari è finito invece un ispettore di polizia del commissariato Vicaria-Mercato, che – in base alle risultanze delle indagini – avrebbe avuto il compito di sostituire le relazioni negative redatte dal commissariato su richiesta del tribunale di sorveglianza con false relazioni positive, al fine di far ottenere ai condannati provvedimenti favorevoli nonostante l’esistenza di motivi ostativi.
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