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Quattro giornalisti italiani fermati in Siria. Fonti locali: solo accertamenti stanno bene e saranno rilasciati

Quattro giornalisti italiani sono stati ‘fermati’ in Siria. Amedeo Ricucci della Rai e i freelance Elio Colavolpe, Andrea Vignali, Susan Dabbous sono stati bloccati nel nord del paese, forse dagli oppositori di Assad . Stavano lavorando al reportage ‘Silenzio si muore’ per la trasmissione ‘La storia siamo noi’ di Giovanni Minoli. Secondo quanto apprende l’Adnkronos da fonti Rai i quattro non sarebbero stati rapiti, come si era detto inizialmente, ma avrebbero subito un meno preoccupante ‘fermo’ per la verifica delle loro credenziali.

Nel confermare la notizia, la Farnesina rende noto che segue la vicenda fin dall’inizio, e che è stata attivata l’unita’ di crisi. La Farnesina, che è in contatto con i familiari, chiede inoltre il massimo riserbo per garantire l’incolumità di connazionali, considerata la massima priorità. In linea con la Farnesina, la Rai in una nota “si appella alla sensibilità di tutti i giornalisti della carta stampata, delle radio delle televisioni e del web affinché venga mantenuto un responsabile silenzio stampa”, sottolineando che “notizie sommarie o imprecise potrebbero nuocere all’incolumità dei colleghi, nostra unica priorità”. Richiesta a cui ADNKRONOS ha aderito. I quattro operavano facendo base in territorio turco e sarebbero entrati in Siria il 2 aprile nella zona di Guveci, da 4 aprile la redazione non sarebbe più riuscita a mettersi in contatto con loro.

”Ciao a tutti. Mi chiamo Amedeo Ricucci, faccio il giornalista in RAI e da ormai più di 20 anni racconto storie”. Così si presenta Amedeo Ricucci sul suo blog, chiamato ’Ferri Vecchi’, mettendo la frase di Horacio Verbitsky come intestazione per spiegare quello che per lui è il significato del suo mestiere. ”Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda”. Ed è proprio in un post del 23 marzo che Ricucci spiega il senso del reportage ’Silenzio si muore’, nato dall’esigenza di ”costruire un nuovo patto di fiducia fra giornalismo e pubblica opinione nell’era della Rete e dei social network” e ”recuperare la credibilità di un mestiere che sembra aver perso l’anima”. Per Ricucci ”bastano solo un pizzico di coraggio e la voglia di sperimentare, rimettendosi in gioco personalmente”. Il banco di prova può essere il caso della Siria, ”una tragedia infinita che si consuma nell’indifferenza delle cancellerie occidentali e dell’opinione pubblica internazionale. Raccontarla andando sul posto non è facile, come dimostra l’alto tributo di sangue già pagato dai giornalisti e dagli operatori dell’informazione che in questi due anni hanno provato a farlo. E poi c’è il rischio dell’effetto-assuefazione”.

”Da questa esigenza è nato il progetto “Silenzio, si muore”, primo esperimento RAI (e italiano) di giornalismo partecipativo – scrive ancora sul suo blog - Dal 1 al 15 aprile sarò di nuovo in Siria, a decidere questa volta il mio percorso di viaggio, le notizie da seguire e le storie da raccontare, sarà un gruppo di studenti di San Lazzaro di Savena, collegati costantemente con me via Skype. E’ un gruppo che ha già avuto modo di seguire il lavoro che noi di “La Storia siamo noi” abbiamo fatto nei mesi scorsi ad Aleppo con“Siria 2.0″ e sono ragazzi magnifici, da cui mi farò guidare con piacere, certo che i loro consigli, dubbi ed emozioni possano essermi altrettanto utili di quelli che può darmi un collega o il mio direttore”. Ma, avverte, ”non sarà un video-gioco, attenzione”.