Disagio economico per 15 milioni di italiani. Famiglie senza un euro in banca per le emergenze, record di giovani che non studiano
FAMIGLIE - La crisi colpisce le famiglie e stravolge le abitudini di vita. Il potere d’acquisto delle famiglie e’ diminuito nel 2012 del 4,8%, certifica l’Istat nel suo rapporto annuale. Si tratta, evidenzia, di “una caduta di intensita’ eccezionale che giunge dopo un quadriennio caratterizzato da un continuo declino. A questo andamento hanno contribuito soprattutto la forte riduzione del reddito da attivita’ imprenditoriale e l’inasprimento del prelievo fiscale”. Per far fronte al calo del reddito disponibile, le famiglie hanno ridotto dell’1,6% la spesa corrente per consumi: cio’ corrisponde a una flessione del 4,3% dei volumi acquistati, la piu’ forte dall’inizio degli anni Novanta. Parallelamente, e’ diminuita la propensione al risparmio, che si attesta ormai su livelli sensibilmente inferiori rispetto a quella delle famiglie tedesche e francesi, piu’ vicina alla propensione al risparmio del Regno Unito, tradizionalmente la piu’ bassa d’Europa. Nel 2012 aumenta al 62,3% il numero di famiglie che hanno adottato strategie di riduzione della quantita’ e/o qualita’ dei prodotti alimentari acquistati (quasi nove punti percentuali in piu’ rispetto all’anno precedente). Le tipologie familiari che nel 2012 hanno modificato maggiormente i comportamenti di consumo alimentare in senso restrittivo sono le coppie con figli, le famiglie di monogenitori e le famiglie con membri aggregati (piu’ del 64% di tali famiglie). Nel 12,3% dei casi le famiglie scelgono per gli acquisti alimentari gli hard discount, soprattutto al Nord. Nel Mezzogiorno sale al 73% la quota di famiglie che riduce la quantita’ e/o qualita’ degli acquisti alimentari dal 65,2% del 2011. Al Nord tale strategia coinvolge il 55,5% delle famiglie (con un incremento di quasi 10 punti percentuali), al Centro il 61,8%.
LAVORO - Le opportunita’ di ottenere o conservare un impiego per i giovani si sono significativamente ridotte. Tra il 2008 e il 2012, rileva l’Istat nel rapporto annuale, gli occupati 15-29 enni sono diminuiti di 727 mila unita’ (di cui 132 mila unita’ in meno nell’ultimo anno) e il tasso di occupazione dei 15-29enni e’ sceso di circa 7 punti percentuali (-1,2 punti nell’ultimo anno) raggiungendo il 32,5%. Nello stesso periodo, il tasso di occupazione dei 30-49enni si e’ ridotto di 3,1 punti percentuali (-0,8 punti percentuali nel 2012) mentre e’ aumentato tra i 50-64enni, soprattutto per le donne (+4,0 punti percentuali in media, +5,6 se donne; nel 2012 rispettivamente +1,7 e +2,4 punti percentuali). Nel 2012 il tasso di occupazione e’ cosi’ pari al 72,7% per i 30-49enni, e al 51,3% per i 50-64enni. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni tra il 2011 e il 2012 e’ aumentato di quasi 5 punti percentuali, dal 20,5 al 25,2% (dal 31,4 al 37,3% nel Mezzogiorno); dal 2008 l’incremento e’ di dieci punti. Sono stati relativamente piu’ colpiti i giovani con titolo di studio piu’ basso, in modo particolare quanti hanno al massimo la licenza media (+5,2 punti). Il numero di studenti e’ rimasto sostanzialmente stabile attorno ai 4 milioni (il 41,5% dei 15-29enni; 3 milioni 849 mila nel 2008). L’Italia ha la quota piu’ alta d’Europa (23,9%) di giovani 15-29enni che non lavorano ne’ frequentano corsi di istruzione o formazione (i cosiddetti Neet, Not in Education, Employment or Training). Si tratta di due milioni 250 mila giovani: il 40% e’ alla ricerca attiva di lavoro (49% tra gli uomini, 33,1% tra le donne), circa un terzo appartiene alle forze di lavoro potenziali, nel restante 29,4% sono inattivi che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare. Il numero di Neet tra il 2011 e il 2012 e’ aumentato del 4,4% (+21,1% dal 2008, pari a 391mila giovani), per effetto della crescita della componente dei disoccupati (+23,4%, equivalente a 172 mila unità in piu’).
IMPRESE - Le imprese giocano in difesa e subiscono la crisi. Le strategie adottate negli ultimi anni, registra l’Istat nel suo rapporto annuale, sono prevalentemente di tipo difensivo: nel 2011 circa il 64% delle piccole aziende e il 69,4 delle grandi ha cercato di mantenere le proprie quote di mercato. Oltre la meta’ delle medie e grandi imprese si e’ spinta verso nuovi mercati e circa il 50% ha puntato sull’aumento della gamma dei prodotti; queste strategie sono state adottate rispettivamente dal 35 e dal 20% delle piccole aziende. Il sistema produttivo italiano e’ caratterizzato da intense relazioni tra imprese; ha stretto accordi di commessa oltre il 40% delle piccole imprese e il 65% delle medie e grandi (piu’ inserite, queste ultime, nelle catene del valore nazionali e internazionali), mentre i legami di subfornitura riguardano circa un terzo delle piccole e il 55% delle grandi imprese. Circa il 25% di queste ultime, infine, ricorre ad accordi di tipo formale quali consorzi o joint ventures. Le imprese a conduzione familiare con meno di 10 addetti presentano in generale un profilo strategico elementare: oltre un terzo si attesta su scelte di tipo esclusivamente difensivo (mantenimento della quota di mercato o ridimensionamento dell’attivita’), e un altro 30% si limita a una sola strategia tra quelle piu’ ”complesse” (innovazione, aumento della gamma di prodotti, accesso a nuovi mercati, intensificazione delle relazioni con altre imprese).
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