Mora si pente:” Ad Arcore abuso di potere e degrado” ma poi smentisce se stesso: “Forse ho sbagliato a dire che c’era prostituzione”
“Ieri su un quotidiano ho letto queste parole (per descrivere il caso Ruby, ndr): dismisura, abuso di potere e degrado. E’ vero, così è stato”. Lo ha detto Lele Mora, nel corso delle sue dichiarazioni spontanee al processo cosiddetto Ruby 2 oggi a Milano. “Io -ha aggiunto- ne sono stato passivo concorrente”.
“Oggi -aggiunge Mora in tribunale- non voglio più mangiare cibo avariato. Lascio ai miei difensori, nel rispetto dell’istruttoria il compito di chiarire”. In un secondo momento, Mora sottolinea di essersi “assunto tutte le responsabilità per i fatti del carcere. Il mio consenso all’acquisizione degli atti da parte dei pm p un atto di rispetto per la Procura. Non protesto e mai l’ho fatto”. Il desiderio dell’imputato adesso è quello di “poter uscire per rivedere le stelle e il cielo azzurro”.
“Quando sono stato scarcerato pensavo alle tante polemiche che ho fatto contro i giornalisti e comunisti, con minacce cui mi vergogno”, ha poi detto. In particolare, Mora chiede scusa al giornalista Corrado Formigli. “Voglio chiedere -continua- scusa a tutti. Il carcere ti obbliga a momenti di rilettura della vita e io voglio uscire da quella bufera infernale che mi ha tolto la luce”. Fuori dall’aula di tribunale, però Mora, fa retromarcia parlando con i cronisti, rispetto a quanto detto nelle sue dichiarazioni spontanee. “Forse -ha detto- ho sbagliato, dicendo che potesse esserci prostituzione, forse non c’è mai stata. Ho riportato solo le frasi di un giornale”.
Parlando delle cene di Arcore, Mora ritratta su quel “degrado, abuso di potere e dismisura” di cui aveva parlato: “Ad Arcore -ha detto- non c’è stato nulla di male, sono un amico”. A parlare anche il legale di Mora. Che chiede l’assoluzione per il suo cliente, “perché il fatto non costituisce reato e per l’assenza dell’elemento psicologico della consapevolezza”. Gianluca Maris, nel terminare oggi la sua arringa al processo Ruby 2 a Milano spiega che le condotte del suo assisitito, imputato per induzione e favoreggiamento alla prostituzione, anche minorile, “derivano da lavoro di agente dei vip che faceva e dalle aspettative delle sue clienti, che lui deve far diventare famose”. L’avvocato è entrato più nel dettaglio: “In un contesto di venalità, arrivismo e ambizione, che sono evidenti a tutti, non è – precisa – altrettanto evidente per il mio assisitito quello che potrebbe succedere o quello che le sue clienti potrebbero fare per ottenere dei benefici”.
Secondo la tesi portata avanti dai legali, dunque, Mora non era necessariamente consapevole di quello che sarebbe potuto accadere alle feste di Arcore, di cui lui, tra l’altro era “sporadico frequentatore”.
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