Amanda Knox a Oggi: “Sono arrabbiata con il Pm Mignini e gli investigatori ma li perdonerei se ammettessero di aver sbagliato”
”Contattare i Kercher? Non ci sono ancora riuscita. C’è questo abisso di dolore che ci separa, che è cresciuto durante il processo: non ho avuto il coraggio di attraversarlo. Milioni di volte, ho pensato di avvicinarli, e in milioni di modi diversi: non l’ho fatto perché ho paura che loro la considerino una strategia legale o mediatica. Non voglio che pensino questo di me. Leggo le loro dichiarazioni sul processo, su Meredith. Ho letto il libro di John Kercher”. Lo dice in un’intervista esclusiva a Oggi Amanda Knox.
”Sono stata assorbita e annientata dalle udienze, dalla prigione. Non ho ancora avuto la forza di piangere, di metabolizzare la perdita di Meredith – aggiunge – Ma voglio essere in grado di incontrarli, un giorno, voglio andare con loro sulla tomba della mia amica. Senza impormi sul loro dolore: spero di incontrarli a metà strada. Anche se ora è presto: continuano a pensare che io sia colpevole, ed è una cosa che mi fa un male enorme”. ”Sto cercando di ricostruirmi una vita – spiega la ragazza americana -, ne ho una sola, non posso permettermi di esporla al pericolo di un’altra ingiustizia. Mi hanno già rubato quattro anni, non ho più niente in Italia:tutto quello che potevo dire l’ho detto in un centinaio di udienze, tutto quello che possedevo, l’allegria, l’ingenuità, la fiducia negli altri, mi è stato portato via. Ero una ragazzina quando mi hanno sbattuto in carcere. Ora mi sento come se avessi 40 anni in più di quelli che ho”.
”Io non ho ucciso Meredith, non ho ucciso la mia amica e ho anche pensato di andarci, a Firenze, perché mi fa impazzire l’idea che qualcuno possa gonfiare il petto, puntare il dito contro la mia sedia vuota e dire che mi sono macchiata di un crimine che non ho commesso – aggiunge – Io posso capire che si possa costruire un’accusa, e una condanna, anche se manca la prova fumante, se manca il movente. Ma contro di me hanno esagerato”. ”Dallo psicologo ci sono stata due volte, mia madre ha insistito tanto… Io non volevo, perché conoscevo solo gli psicologi del carcere e non posso dire che mi abbiano aiutato: pensavano solo a riempirmi di antidepressivi – prosegue – La prima volta non sono riuscita a dire una parola. La seconda ho parlato per 15 minuti di fila e alla fine ho avuto un attacco di panico: non riuscivo, e non riesco ancora, a tirare fuori la tristezza, a cancellare la sensazione di essere braccata. Mi sento sempre come quegli animali che sono cacciati dagli animali più grandi”.
”Dopo l’assoluzione, pensavo che sarei stata bene, che sarei tornata com’ero prima, allegra, spensierata – dice ancora – Cercavo di convincermi che stavo bene, che era questione di tempo, che la tristezza sarebbe passata. Ma non passava, la tristezza, i mesi scivolavano e io ero sempre spaventata, esausta. Ora ho accettato questo limbo, anche se forse ci tornerò, dallo psicologo. Neppure aver scritto il libro mi ha curato”.
La ragazza parla anche degli inquirenti: “Li capisco. Erano sotto pressione, dovevano trovare subito i colpevoli. Per me si sono fatti un’idea frettolosa e sbagliata del mio comportamento, della mia presunta freddezza, e hanno deciso che avevo qualcosa a che fare con l’omicidio: non sapevano cosa, esattamente, ma in qualche modo io c’entravo, ero colpevole e meritavo il carcere”. ”Io sono molto arrabbiata con il pm Giuliano Mignini e con gli investigatori, ma li perdonerei in un istante se ammettessero di aver sbagliato. Non devono neanche dirmi sorry, mi dispiace. Non voglio vendette. Sentirei una tale pace, se Mignini ammettesse di aver sbagliato”, conclude.
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