Usa verso il default, il Senato vicino a un accordo ma alla Camera i repubblicani del Tea Party non cedono
Dopo convulsi negoziati il Senato americano è vicino a un accordo per ricacciare lo spettro del default, ma rimane l’incognita della Camera, dove è più forte la componente del Tea Party artefice della linea dura e del muro contro muro. La paura è che i due giorni che mancano alla scadenza del 17 ottobre, vale a dire giovedì prossimo, quando, il dipartimento del Tesoro non avrà abbastanza liquidi per far fronte a tutti i suoi obblighi finanziari in assenza di un aumento del tetto del debito, non siano sufficienti a completare l’iter legislativo, tra le due Camere, della misura negoziata al Senato.
L’accordo prevede di estendere la facoltà del Tesoro di contrarre nuovi debiti fino al 7 febbraio prossimo, mettere fine allo shutdown, arrivato oggi al suo 15esimo giorno, garantendo il finanziamento del governo fino al 15 gennaio. La data non è stata scelta a caso, ma sembra destinata a provocare l’ennismo psicodramma a Washington, dal momento che il 15 gennaio dovrebbe scattare il nuovo round di tagli alla spesa pubblica previsti dal sequester, in tutto 20 miliardi di dollari spalmanti su tutte le agenzie federali, soprattutto il Pentagono. Alla fine i repubblicani porterebbero un magro bottino sul fronte dell’Obamacare, l’obiettivo contro il quale hanno scatenato tutta questa guerra, soltando un maggiore controllo dei redditi dei cittadini che partecipano agli exchanges, la borsa online che permetterà di avere i sussidi federali per l’assicurazione sanitaria.
I leader del Senato, il democratico Harry Reid e il repubblicano Mitch McConnell, parlano di ”straordinari progressi”, ma ora, per garantire un passaggio veloce della misura, devono riuscire a ottenere un voto unanime. Compresi quelli degli oltranzisti del Tea Party, come Ted Cruz e Mike Lee che hanno animato la battaglia all’ultimo sangue contro l’Obamacare. Cruz, il senatore ‘matricola’ del Texas diventato il simbolo della battaglia dopo aver parlato per 21 ore consecuitive in aula contro la riforma sanitaria, finora si è rifiutato di dire cosa pensa dell’accordo. “Dobbiamo aspettare di vedere i dettagli”, si è limitato a rispondere diverse volte di fronte all’insistenza dei cronisti.
Superato il voto del Senato, dove se anche non al primo voto, dove è richiesta l’unanimità, la misura passerà sicuramente, rimane ancora tutta in salita la strada per mettere fine allo stallo. La misura infatti dovrà passare alla Camera dove in queste settimane la maggioranza repubblicana – il cui caucus è dominato dal Tea Party – ha dato prova più volte, anche a costo di precipitare nei sondaggi come sta avvenendo, di non avere intenzione di sbloccare la situazione senza ottenere il premio richiesto, quello che Barack Obama ha bollato come ricatto. E tutti sono d’accordo nel dire che le prossime ore saranno ore di passione per John Boehner, lo Speaker repubblicano della Camera che si troverà di fronte a un dilemma: se mettere ai voti la misura del Senato che sicuramente verrebbe votata da una maggioranza bipartisan, i democratici e l’ala più moderata del Gop. Oppure, per paura di affrontare lo strappo con il Tea Party, non farlo e rischiare delle enormi conseguenze politiche ed economiche.
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