Le magie del Santa Cecilia, concerto inaugurale nel segno di Britten con “Peter Grimes”. Ieri di scena Barbara Hannigan
(Di Sergio Prodigo). Sabato 26 ottobre (con repliche il 28 e il 30) all’Auditorium del Parco della Musica la Stagione Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha celebrato la sua inaugurazione nel nome di Benjamin Britten, il maggior compositore inglese dello scorso secolo, in occasione del centenario della sua nascita.
È pur vero che incombevano (e incombono) ancora due bicentenari forse più significativi (quelli di Verdi e di Wagner): in tale contesto la scelta di dedicare al Novecento storico il concerto inaugurale si è rivelata come una sorta di scelta tematica, di là dal facile ascolto o dalla reiterazione di estratti di opere glorificate dalla storia musicale.
I temi, appunto, ossia quelli della solitudine, dell’ipocrisia, della violenza sui minori, della maldicenza, del pregiudizio e dell’ambiguità sessuale: disvelati e affrontati da Britten nel suo primo lavoro teatrale di ampio respiro, mutuati dalla società inglese del primo Ottocento (il libretto di Montagu Slater era tratto dal poema The Borough di George Crabble) e rappresentati nella Londra ancora intrisa degli orrori bellici (il Peter Grimes andò in scena il 7 giugno 1945 al Sadler’s Wells Theatre), non celano forti legami e rispondenze con le conflittualità e le contraddizioni sociali contemporanee. Significarli nella musica e proporli alla vasta platea di un pubblico cosciente ha nobilitato una coraggiosa ma non temeraria scelta programmatica, vieppiù rafforzata dall’esecuzione in forma di concerto di un capolavoro lirico, privo in tal senso di apporti scenici e di azioni drammaturgiche.
In effetti, l’assenza di elementi di contorno, favorisce – e, nello specifico, ha decisamente amplificato – l’attenzione ai contenuti prettamente musicali e anche letterari di un’opera estremamente attuale nelle tematiche ma soprattutto nel variegato e polimorfo ambito delle moderne concezioni compositive. L’eclettismo stilistico di Britten si disvela pienamente in una scrittura e in una struttura musicale scevra dai condizionamenti formali dell’espressionismo o del post-espressionismo, pur se apparentata al latente lirismo berghiano, tributaria dell’ultimo Puccini, connessa alla tradizione del canto popolare, non aliena da incursioni nel coevo ambito della musica extracolta (basti citare la geniale scena del ballo del villaggio nel terzo atto, con l’impiego di cinque solisti dell’orchestra, forse ispirata al Wozzeck) e fortemente connaturata alla discendenza dalle forme classiche (si pensi alla Passacaglia del secondo atto). Nel Grimes, del resto, è la stessa orchestra ad assurgere al ruolo narrante della tragicità degli accadimenti, sorretta da un virtuosismo ampiamente dispiegato nelle componenti coloristiche ed espressive: l’azione narrativa medesima si evidenzia nella chiarezza melodica delle forme chiuse, nella complessa polivocità corale ma specie nei sei magnifici interludi (felicemente estrapolati e inseriti nel repertorio sinfonico), doviziosi di drammatica e intensa liricità.
All’altezza della musica l’esecuzione e l’esegesi della difficile e complessa partitura, operate da Sir Antonio Pappano con rara e profonda compenetrazione critica: abilmente e incomparabilmente diretti, il coro e l’orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia hanno offerto nei tre concerti, anche attraverso il progressivo percorso e compimento dell’interpretazione tecnica ed espressiva, una maiuscola prestazione di rara efficacia artistica e di alta professionalità. Del resto, l’amalgama, la fusione timbrica, la tecnica ineccepibile e il suono stesso rappresentano tutto ciò che l’orchestra di Santa Cecilia riesce a esprimere e concretare, soprattutto grazie – negli ultimi otto anni – alla direzione artistica e musicale di Pappano.
Eccellenti gli interpreti, tutti doverosamente da citare: Gregory Kunde (uno straordinario protagonista, perfettamente immedesimato nel personaggio di Grimes, dalla vocalità decisa e connaturata al ruolo drammatico interpretato), Sally Matthews (inappuntabile ma particolarmente espressiva e penetrante la sua interpretazione del personaggio di Ellen Orford), Alan Opie, Susan Bickley, Elena Xanthoudakis, Simona Mihai, Michael Colvin, Matthew Best, Felicity Palmer, Harry Nicoll, Roderick Williams, Darren Jeffery, Gabriella Martellacci e Marco Santarelli.
Entusiasmo e intensa partecipazione emotiva del numeroso pubblico nelle tre memorabili serate: lunghi minuti di prolungati e reiterati applausi, “chiamate” e ovazioni per Pappano, per Ciro Visco (direttore del coro), per tutti i cantanti, per il coro e per un’orchestra (e per i suoi solisti) ormai fra le prime nel panorama musicale internazionale (pur se opera in un contesto politico-culturale che pure l’ostenta, ma non ne merita la già menzionata alta professionalità e l’indiscusso valore artistico).
Il secondo appuntamento con l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia ha previsto per ieri sera un altro evento eccezionale: Barbara Hannigan, direttore e soprano, dirigerà e canterà arie di Mozart e Rossini; in programma anche la Suite Pelleas et Melisande di Fauré e due brani di Gyorgy Ligeti (uno dei maggiori compositori della seconda metà del Novecento, scomparso nel 2006), il Concert Romanesc (del 1951) e Mysteries of the Macabre (del 1988).
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