Caso Cancellieri, il figlio Piergiorgio Peluso: “Non sono un traditore, abbiamo fatto di tutto per salvare i Ligresti”
“Non sono un traditore”. Piergiorgio Peluso, 45 anni, top manager di Telecom da un anno, dopo aver lasciato Fonsai, in un’intervista al ‘Corriere della Sera’, difende il suo operato e respinge le accuse dei Ligresti di essere stato l’emissario delle banche. “Non è così”, dice. “Che queste accuse arrivino da Jonella e Giulia, che non hanno la più pallida idea di che cosa parlano, è sintomatico”.
“Sono arrivato in Fondiaria a giugno 2011 dopo l’aumento di capitale, quando le banche -spiega il manager- posero il tema della discontinuità manageriale. Io avevo lavorato in Capitalia e UniCredit seguendo i più grandi gruppi, compreso quello Ligresti. E poi c’era la conoscenza famigliare, più con Antonino Ligresti che con Salvatore. Fondiaria nacque per me come una opportunità di carriera interessante”.
A Giulia Ligresti che lo accusa di aver fatto diventare azionista il fondo Amber, che subito dopo ha denunciato le operazioni tra la compagnia e i Ligresti, dando vita all’inchiesta, Peluso replica ammettendo che “la consequenzialità di Amber può destare delle domande. Ma anche noi siamo rimasti stupiti quando hanno fatto quelle domande. Io li ho conosciuti solo in quella occasione. Loro comprarono dei diritti che come Fonsai eravamo obbligati a vendere. Ce li portò Unicredit, perché era la banca che seguiva l’aumento di capitale. Erano normali investitori. Per me la denuncia sulle operazioni con parti correlate fu un fulmine a ciel sereno. Evidentemente Amber voleva forzare una situazione e ha scelto quella strada legale. Ma nessuno è mai entrato in Fonsai con l’ottica che dice adesso la famiglia”.
“Alla famiglia (Ligresti, ndr) dissi: purtroppo la crisi è qualcosa che è più grande di noi, non siamo più in grado di gestirla. E provammo altre strade per recuperare patrimonio, visto che sapevo che per la famiglia l’aumento di capitale era l’extrema ratio. Cercammo di vendere pezzi di società, e cercai soci esteri: ma nessuno voleva sentire parlare di rischio-Italia in una Fonsai che aveva 30 miliardi di Btp in pancia. Fu l’Isvap che ci obbligò all’aumento di capitale, perché eravamo sotto i limiti regolatori e non ci lasciava ancora tempo. Pensare altro è la solita teoria del complotto”.
“Lì ci fu la rottura, di fatto mi diedero del traditore perché capirono che avevo preso una strada per loro molto complicata. Ma anche in quel contesto la famiglia ebbe la possibilità di trovare soluzioni alternative. Aveva studiato in totale autonomia insieme con il suo advisor Banca Leonardo l’operazione con Palladio, con cui però poi loro stessi decisero di chiudere, per aprire con Mediobanca e dunque con Unipol. Io non sono mai stato coinvolto perché non ero più parte delle loro discussioni. Dunque nessun complotto, nessuna ete- rodirezione, tutte cose verificabili e documentate”.
Alitalia, Colaninno: non è più compagnia dei grattacieli e biglietti gratis. ”Caro direttore, leggo l’articolo di Sergio Rizzo del primo novembre e penso che doveva essere datato 2 gennaio 2009. Purtroppo invece i lettori del ‘Corriere della Sera’ lo hanno letto il primo novembre 2013 in un momento molto delicato per Alitalia, in cui certo non c’è bisogno di ricordare episodi estranei a questa gestione. I racconti di grattacieli sontuosi, di stanze d’albergo pagate e non occupate, di biglietti regalati e di privilegi elargiti sono tutti riferiti ai vecchi fasti di un’Alitalia pubblica ahimè fallita nel 2008, e sia le nostre persone che le varie caste sanno bene quanto di privilegi e di sprechi non ce ne sia più per nessuno e che le richieste di vantaggi ad personam che ancora arrivano si schiantano contro il muro di gomma di una rigidissima policy”. Lo scrive in una lettera inviata al direttore del ‘Corriere della Sera’ Ferruccio de Bortoli, il presidente di Alitalia, Roberto Colaninno.
”Anche a danno di blasonati giornalisti che, non immagina nemmeno quanti, continuano a chiedere piccoli e grandi favori, mi si dice dall’azienda-continua Colaninno- Per carità, nulla di grave, ma richieste che sono lo specchio di una società che il giornale da Lei diretto farebbe bene a stigmatizzare. L’articolo ci amareggia perché dimostra come i luoghi comuni siano duri a morire anche per i grandi giornalisti: chiunque conosca la nostra storia sa che per Alitalia Cai, dal gennaio 2009, si può forse dibattere di eventuali errori strategici e di peccati originali, ma tutta la comunità finanziaria ci riconosce un’efficienza di costi, un cask (costo per chilometro, l’indicatore principe per le compagnie aeree) a livello delle best practice mondiali. E da parte mia le assicuro una condotta etica all’interno dell’Azienda, sconosciuta sino al nostro arrivo”.
”Alitalia e tutte le sue persone non ci stanno e vogliono ribadire che quanto raccontato non appartiene alla storia dell’Alitalia nata nel 2009 -conclude Colaninno-. Mi sarei aspettato un più chiaro distinguo, grattacieli o meno”.
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