Niente tagli agli stipendi dei direttori generali, la spending review non entra a Palazzo Chigi
(Di Federico Fubini).Ricordate quei giorni? L’Italia sembrava percorsa dalla frenesia di mettersi in regola, con sé stessa prima ancora che con l’Europa o i mercati finanziari. Andavano ridotti i privilegi dei mandarini di governo. Tagliati gli sprechi utili solo a gonfiare la pressione fiscale. Sotto il capitolo “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica”, appellandosi alla “straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni”, il governo di Mario Monti agì: via dai ministeri i dirigenti di troppo. Lo ricorda Repubblica.it.
Oggi quella vicenda è diventata una dimostrazione del potere della burocrazia di Palazzo Chigi di svuotare qualunque riforma. Quasi senza lasciare impronte. Ma allora, all’inizio, si fece sul serio. Il decreto legge 95 del 15 giugno 2012 dispose una “riduzione delle dotazioni organiche dirigenziali” del 20% entro quattro mesi e mezzo. In sostanza, a partire dalla Presidenza del Consiglio, Monti tagliava un direttore generale di ministero su cinque.
In caso di soprannumero rispetto a quella soglia ridotta, non ci sarebbero stati margini per i dirigenti che avevano maturato i requisiti di pensione secondo le norme pre-Fornero. Era pur sempre uno sconto rispetto ai cittadini normali che devono aspettare più a lungo, o agli esodati rimasti senza reddito. Ma chi dei direttori generali aveva raggiunto quota 95, sommando età e anni di contributi, doveva andarsene. Sarebbero stati dichiarati in esubero e messi fuori.
Almeno in teoria. Monti varò anche un decreto
della presidenza del Consiglio dei ministri che specificava (e anticipava) quelle decisioni per Palazzo Chigi. Antonio Catricalà, allora sottosegretario del premier e capofila della sua amministrazione, lo elogiò: “Monti ha voluto dare l’esempio, facendo vedere che Palazzo Chigi è il primo a intervenire sui suoi organici. Credo che questo esempio vada seguito”.
Avanti veloce di un anno e mezzo e cosa resta di quella frenesia? Be’, c’è stato un intoppo. Informatico, a prima vista. Perché per decidere se un organico è in soprannumero bisogna prima sapere com’è composto. E per scoprirlo vanno pubblicati dall’amministrazione coinvolta i “ruoli dirigenziali”, un elenco di coloro che ne fanno parte e da quando. Peccato che sul sito del governo quell’aggiornamento sui dirigenti di prima fascia di Palazzo Chigi sia fermo al primo giugno 2012. Cioè a due settimane prima che il decreto di Monti lanciasse i tagli in caso di soprannumero (peraltro, per tutto il resto dei dati il sito è aggiornatissimo).
Anche così però un’occhiata più attenta ai ruoli di Palazzo Chigi rivela due punti essenziali. Il primo è che i direttori generali sono in soprannumero rispetto alle norme di Monti. Il secondo è che non sono stati dichiarati esuberi e pensionamenti, per il semplice fatto che i “ruoli” non sono stati aggiornati per il pubblico.
In sostanza Palazzo Chigi, da cui doveva partire l’”esempio” della spending review, non l’ha eseguita. Possibile? Sì se si guardano bene i numeri. Una riduzione del 20% dei dirigenti, per Palazzo Chigi significa scendere a 78 direttori generali (paga media secondo le stime di Repubblica: 188 mila euro lordi l’anno). E in teoria siamo nei limiti, perché ai “ruoli” aggiornati a un anno e mezzo fa ne risultano 75, dei quali sei fuori ruolo ma a pieno stipendio. Alcuni fanno appena qualche ora di insegnamento alla Scuola nazionale dell’Amministrazione, eppure restano in funzione.
Peccato però che nel frattempo altri 10 (presto 11) dirigenti siano entrati in prima fascia di stipendio, cioè da direttori generali, come effetto automatico di promozioni passate. Se questi ultimi direttori generali risultassero nei ruoli, Palazzo Chigi sarebbe in soprannumero e dovrebbe dichiarare 8 esuberi di dirigenti a fine anno. Ma non lo fa.
Alberto Stancanelli, il direttore generale al Personale, spiega che i dati non sono stati aggiornati perché sono intervenute nuove norme, ma presto lo saranno. Non è chiaro se Stancanelli parli del decreto legge sugli statali precari di agosto o di una “direttiva interpretativa” di Patroni Griffi che, senza chiare basi legali, ha cercato di esentare Palazzo Chigi dai pensionamenti in caso di soprannumero. Allora Patroni era ministro della Funzione Pubblica, oggi è sottosegretario alla presidenza di Palazzo Chigi. Cioè capo degli stessi burocrati che tutelò con quella “interpretazione”.
Non si può chiedere al tacchino di festeggiare il Natale. Ma se c’era urgenza nei tagli, è stata dimenticata. E se Palazzo Chigi doveva dare l’esempio, ha fallito. Carlo Cottarelli, che con la sua nuova spending review è l’ultima speranza degli italiani di pagare meno tasse, può prendere nota.
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