Processo Stato-Mafia, il pentito Brusca: “Falcone e Lima uccisi da Riina per bloccare Andreotti alla presidenza della Repubblica”
Io nell’attentato di Giovanni Falcone, nel suo piano esecutivo, ci sono entrato per sbaglio”. E’ quanto racconta il pentito Giovanni Brusca, a Milano, nel corso della sua deposizione al processo per la trattativa Stato-mafia ripercorrendo le tappe che hanno portato all’omicidio del magistrato siciliano e l’inizio della strategia stragista per eliminare i nemici di Cosa Nostra.
“La volontà di uccidere Falcone – continua – per me risale già a prima di Chinnici e per una serie di fatti veniva sempre rinviato”. Il pentito, nell’aula bunker del tribunale di Milano, ha cominciato la sua testimonianza raccontando l’inizio della sua affiliazione a Cosa Nostra (“Totò Riina era il mio padrino”). In particolare, l’attentato di Giovanni Falcone, insieme a quello di Salvo Lima, fu organizzato da Riina “per mettere fuori gioco la nomina a presidente della Repubblica di Giulio Andreotti”. La “spettacolarizzazione” era un aspetto secondario della strage di Capaci che aveva invece l’obiettivo di “influire sull’elezione di Giulio Andreotti a presidente della Repubblica” dice Brusca.
Anche l’omicidio di Salvo Lima rientrava nella stessa strategia, secondo la ricostruzione di Brusca. “Perché Lima? Perché – spiega – si vociferava che Andreotti aspirava a diventare presidente della Repubblica, e l’omicidio di Lima, vicino ai cugini Salvo, lo avrebbe messo in difficoltà. Si è trattato di una ritorsione con effetto politico”.
Secondo Brusca, quello di Riina era un desiderio di vendicarsi dopo che le aspettative di Cosa Nostra verso la Dc non erano state accolte: “Nel ’91 Riina disse che dovevano morire tutti, che i politicanti lo stavano tradendo. Fece i nomi di Falcone, che era un suo chiodo fisso fin dai tempi dell’omicidio Chinnici, e poi di Lima, di Mannino, di Purpura, di Martelli”. Fuori dall’aula bunker sit in per il pm Antonino Di Matteo. Un gruppo di cittadini “a titolo personale” ha esposto il cartello ‘Milano sta con Di Matteo’ in solidarietà con il pm ripetutamente minacciato da Riina e assente al processo per motivi di sicurezza. Presenti invece in aula il procuratore capo Francesco Messineo, l’aggiunto Vittorio Teresi e i pm Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
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