Confindustria critica: “Manovra debole, con questa crisi i danni di una guerra”. Squinzi: “Bene Renzi sull’art.18 ma non basta”
La ripresa italiana “cammina sul filo del rasoio”; molti i tasselli che devono andare a posto per comporre un mosaico di crescita. “I rischi a ribasso” sono appena dietro l’angolo e il pericolo maggiore potrebbe arrivare dal “cedimento della tenuta sociale” con “il montare della protesta che si incanali verso rappresentanze che predicano la violazione delle regole e la sovversione delle istituzioni”. E’ l’analisi del Centro Studi di Confindustria, nel suo tradizionale rapporto di fine anno, a disegnare così uno scenario prossimo futuro per l’economia italiana non del tutto negativo ma ricco di incognite.
“Il destino dell’Italia che si ripete con il coagularsi di importanti gruppi politici anti sistema”, avvertono ancora gli economisti di viale dell’Astronomia che denunciano le precarie condizioni in cui l’Italia si presenta alle porte del 2014: “Danni pesanti commisurabili solo a quelli di una guerra”. E se la “profonda recessione” è “finita” i suoi effetti no e le conseguenze della crisi sono ancora pesantemente sul campo. Il Paese “ha subito un grave arretramento ed è diventato più fragile”.Lo stesso termine “ripresa” che potrebbe timidamente affacciarsi nel 2014 e nel 2015 è messo in discussione: è un termine “improprio”, dicono, sia perché non si recupereranno i valori del passato, sia perché “appare derisorio nei confronti di quanti, imprenditori e lavoratori, resteranno in difficoltà a lungo”.
Meglio parlare di “nuova era e di ricostruzione” nella quale “accanto alle tante carenze da colmare potranno registrarsi buone carte da giocare sulla competitività internazionale”. Sono però quattro i capitoli che potrebbero contribuire ai “venti contrari”: la maggior incertezza che rende prudenti gli operatori nelle decisioni; la continua erosione della competitività per l’aumento del costo del lavoro; le turbolenze del quadro politico per le elezioni europee nel 2014 e le probabili elezioni politiche in Italia nel 2015. PIL - Dunque, ripresa “difficile” per l’Italia: le previsioni di crescita per il 2014 e 2015, infatti, sono condizionate da “una fausta costellazione di eventi” perché basta poco per metterla a rischio. Se i “tasselli” del mosaico andranno a posto il Pil 2014 crescerà dello 0,7% e quello del 2015 dell’1,2%. Se invece “si materializzerà un quadro sfavorevole” allora il Pil registrerebbe +0,4% nel 2014 e zero nel 2015.
Nell’ipotesi più favorevole comunque gli incrementi congiunturali sono attesi a cominciare dal quarto trimestre dell’anno in corso. A determinare invece un quadro più negativo, dicono ancora gli economisti di Viale dell’Astronomia, che nonostante tutto puntano su uno scenario più ottimista, non solo il proseguimento nel 2015 del credit crunch, la dinamica “frenata” del commercio mondiale e uno spread che non si riduce restando intorno ai 235 punti, ma soprattutto “una manovra restrittiva di un punto di Pil di finanza pubblica per rispettare gli impegni Ue”. Rispetto al 2007 il Pil totale è diminuito del 9,1% e quello pro capite dell’11,5%, cioè 2.900 euro a testa, tornando ai valori del 2009. Rispetto al decennio 1997-2007, invece, sono stati bruciati 200 mld di reddito, pari a quasi 3.500 euro per abitante.
LAVORO - “Si arresta l’emorragia occupazionale” e il tasso di disoccupazione si stabilizza, dice il Csc che prevede uno 0,1% nel 2014 e uno 0,5% nel 2015 e un tasso di disoccupazione al 12,3% il prossimo anno e al 12,2% nel 2015. Nel caso di scenario sfavorevole l’occupazione per i prossimi 2 anni resterebbe al palo, -0,1% e 0. Per Confindustria dal 2007 il Paese ha perso circa 1,8 milioni di posti di lavoro. E sempre dal 2007 le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, “due volte la cifra di sei anni fa”, dice ancora il Centro Studi, che parla anche di “raddoppio dei poveri che hanno raggiunto quota 4,8 milioni”.
LEGGE DI STABILITA’ - Gli industriali rinnovano le critiche alla manovra del governo che per il 2014 “ritocca solo marginalmente il deficit: in termini di Pil appena qualche decimale, lo 0,2%”. La legge di stabilità resta “una occasione mancata” e complessivamente gli interventi sono “modesti”. Non solo. Anche l’intervento che Confindustria ritiene principale, quello sul cuneo fiscale, vede le risorse stanziate “non in grado di incidere significativamente”.
CONTI PUBBLICI - Sarà centrato l’obiettivo per il 2014 ma non per il 2015. Il Csc prevede che l’indebitamento dell’Italia raggiungerà il 2,7% nel 2014 ma toccherà il 2,4% nel 2015. Il debito pubblico sale ancora nel 2014 al 129,8% per poi iniziare a flettere nel 2015.
FISCO - Secondo il Centro Studi di Confindustria la pressione fiscale scenderà marginalmente al 43,9% nel 2014 dopo aver toccato il record nel 2013 con il 44,3% di Pil. CONSUMI - La spesa delle famiglie, per la prima volta dopo tre anni di cali, potrebbe cominciare ad aumentare dello 0,2% nel 2014 per raggiungere +0,8% nel 2015. Ma in caso di scenario sfavorevole i consumi delle famiglie sono destinate a restare al palo: 0,1% nel 2014 e 0 nel 2015.
“In questo momento non si può dire che la recessione sia finita e che ci sia una ripresa. Vediamo cosa succede nei prossimi giorni” dice il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi, a margine dei lavori del Csc. Lo stop al calo del Pil in questo trimestre, infatti, “non è un segnale di una decisiva ripartenza o di fine recessione”. La ripresa, infatti, “ce la dobbiamo conquistare con le riforme. Altrimenti credo che agganceremo la ripresa internazionale ma in una maniera estremamente modesta”, aggiunge Squinzi, ribadendo la critica a un certo “diffuso ottimismo”: “Il Paese ha perso il 9,1% di Pil se rapportato al 2007 e il fatto che per la prima volta in due anni si arresta la caduta del Pil significa solo che abbiamo toccato il fondo”.
Quanto alla proposta di Matteo Renzi, che per quel che riguarda il mercato del lavoro propone tra l’altro l’eliminazione dell’art. 18 per i giovani neo assunti, Squinzi commenta: “Sicuramente è una proposta che va nella direzione giusta” però ”non è sufficiente perché per poter assumere bisogna prima creare le condizioni di lavoro”. Solo così, infatti, “si potranno effettuare assunzioni. Altrimenti – conclude – resterebbe un provvedimento sulla carta”.
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