Teatro dell’Opera di Roma, uno sciopero rischia di far saltare la Manon Lescaut con Muti
Tregua o rivoluzione? Accordo o scelta epocale? Mai come in queste ore il teatro dell’Opera è soffocato dall’ansia del debutto.
Perché andare o non andare in scena domani sera significherà molto di più che aderire o non aderire a uno sciopero. Se l’orchestra dovesse disertare la buca, come ha ribadito ieri parte dei sindacati (ma basta l’assenza di pochi musicisti per bloccare lo spettacolo), quello spazio vuoto ai piedi del palcoscenico romano, rischierebbe di trasformarsi in un buco nero per un bel po’. Potrebbe diventare contenitore e simbolo di scelte epocali, come la liquidazione, la chiusura coatta, annunciata dal sindaco Marino, presidente della Fondazione.
Un’ipotesi ancora possibile
Mai nessun teatro in Italia è ricorso a questa eventualità e l’Opera potrebbe così diventare il simbolo «di una sciagura», o «di una nuova era». «Un contenitore senza dipendenti alla mercé di privati», parola di Pieralli della Fials. O una fondazione simbolo «con musicisti, sarte, elettricisti, artigiani selezionati con bandi internazionali», parola di Marino. Un debutto comunque.
Ma se anche i sindacati, che ieri si sono riuniti indossando magliette con un cuore rosso per Muti, dovessero decidere di far slittare le trattative e le proteste a fine repliche, presentandosi in sala, un futuro sereno e stabile per il lirico della Capitale è ancora tutto da vedere.
L’Europa
Così come il rilancio, per stare al passo con le realtà europee: la Royal Opera House di Londra alza il sipario 359 volte l’anno. L’Operà di Parigi 317. L’Opera di Roma, tra novembre 2012 e dicembre 2013, 160. La Scala di Milano 280, il San Carlo di Napoli 180. Uno dei punti caldi della protesta è proprio l’aumento della produttività. E l’accordo è lontano. Né sindaco, né sovrintendente sembrano voler cedere sul piano di rinnovamento previsto dalla legge Bray, cui nel dicembre scorso ha aderito il cda, ma che sin da allora è stato rigettato da alcune sigle sindacali. Nè il sindaco sembra poter incontrare sindacati che non riconoscono (è scritto nel documento di Cgil, Fials e Libersind) un sovrintendente da lui stesso nominato.
L’Attesa
In assenza di segnali dal Campidoglio, si fanno avanti molti interrogativi. Se Muti dovesse lasciare Roma, il Comune continuerebbe a versare 16,5 milioni (nel 2013 erano 18) nelle casse del teatro? E se il Comune non versasse più così tanti milioni che ne sarebbe del bilancio? I sindacati soprannominati i ribelli (Cgil, Fials e Libersind), sono ancora in attesa di un incontro con Marino: «Ci convochi o saltano la prima e tutte le repliche». I sindacati detti invece responsabili (Cisl e Uil), aspettano di poter dire la loro questo pomeriggio: «Spiegheremo oggi le motivazioni che ci hanno spinto a intraprendere la strada della responsabilità per salvare il futuro dell’Opera». Riccardo Muti, il grande maestro che il mondo ci invidia e che più volte si è speso anche in presenza del presidente della Repubblica a favore della valorizzazione e del rispetto della cultura italiana, ancora non sa se, dopo aver diretto le prove generali di Manon Lescaut, domani sera avrà un’orchestra per la prima.
E così scrutano il cielo romano, nella speranza di intravedere fumate bianche o nere anche Chiara Muti, la regista dell’allestimento, la star Anna Netrebko che debutterebbe al Costanzi, per la prima volta nei panni dell’eroina di Puccini e accanto a Muti. Fuortes che ha ribadito: «La legge parla chiaro: se non ci rimettiamo in sesto, è prevista la liquidazione». Le maestranze. E il sindaco, nel doppio ruolo di atteso e in attesa lui stesso. Perché, se lo sciopero, che rappresenta una grave perdita per un bilancio già in sofferenza, dovesse essere confermato, sarà lui a dover decidere se annunciare la liquidazione coatta dell’ente lirico romano cui versa molto, ma molto di più di quanto facciano i comuni milanesi (poco più di sei milioni, contro i trenta circa versati dallo Stato che al Costanzi ne eroga invece 22), napoletani (un milione, mentre tredici arrivano dallo Stato) o veneziano (4 milioni e mezzo).
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